DALLA CRESCITA CONTINUA ALL’ECONOMIA DELLO STATO STAZIONARIO – PARTE 1


Sebbene l’Unione Europea continui a pretendere dai Paesi dell’eurozona e, in particolare, dall’Italia una politica economica restrittiva, prociclica e dunque recessiva, il nostro governo  si sta battendo contro la UE per una politica economica che, pur non potendosi certamente definire espansiva, è comunque un po’ meno restrittiva di quella che ci vorrebbe imporre Bruxelles. Con una tale manovra, il governo ci assicura che usciremo presto dalla crisi e torneremo a crescere (un ritornello che sentiamo da almeno un decennio). Ma sarà proprio così?


L’economia e le risorse naturali

Immediatamente sotto la superficie, il nostro pianeta nasconde ancora una grande quantità di risorse minerarie (rame, ferro, stagno, litio, manganese, molibdeno, antimonio, tungsteno, oro, argento, ecc.) ed energetiche (petrolio, gas, carbone, uranio, ecc.). Dobbiamo però tenere sempre presente che la loro quantità è pur sempre limitata e che, non essendo risorse rinnovabili, il loro forsennato sfruttamento ne comporta il rapido esaurimento, nel tempo.

Oggi, il problema della crisi delle risorse minerarie ed energetiche non consiste nell’entità delle riserve ancora presenti nel sottosuolo quanto invece nella diminuzione dei rendimenti energetici che si verificano nelle fasi di estrazione e di fabbricazione dei prodotti per gli usi finali (metalli puri, benzina, gasolio, kerosene, ecc.). Nell’estrarre le risorse non rinnovabili, il sistema economico adotta la strategia di sfruttamento logistico (predatorio). In un primo tempo si intaccano i giacimenti che rendono disponibili le risorse nel modo più facile ed economico possibile: petrolio, gas o carbone dai giacimenti poco profondi e in luoghi facilmente accessibili, minerali da miniere a cielo aperto e ad elevata concentrazione. Successivamente, con la progressiva diminuzione dei rendimenti di estrazione, si passa a sfruttare i giacimenti di minore qualità dove, in termini energetici, diventa sempre più costoso estrarre quantitativi supplementari di quella risorsa. In ogni caso, lo sfruttamento della risorsa avviene sempre alla massima velocità consentita dal contesto economico finanziario e dalla tecnologia disponibile al momento.

Secondo il modello logistico, la produzione della risorsa assume un andamento temporale a campana asimmetrica. In un primo tempo, la produzione aumenta in modo esponenziale, poi flette fino a raggiungere un massimo (picco della produzione) quindi declina molto velocemente. Lo stesso modello di produzione si ritrova nello sfruttamento logistico di tutte le risorse. Vale, ad esempio, anche per l’acqua dolce (gli acquiferi si impoveriscono velocemente e si ricostituiscono più lentamente) e per la fertilità dei terreni adibiti alla coltivazione del cibo (lo strato superficiale fertile dei terreni, l’humus, si erode più velocemente di quanto venga ricostituito). Lo sfruttamento intensivo delle risorse minerarie e soprattutto dei combustibili fossili sta producendo anche un serio problema d’inquinamento. I serbatoi naturali (aria, acqua e terreno) fanno sempre più fatica ad assimilare le emissioni inquinanti derivati dall’attività economica umana. L'esempio più evidente è la crescita della concentrazione di anidride carbonica nell'aria (effetto serra) e nell'acqua (acidificazione degli oceani).

I modelli econometrici tradizionali, oggi impiegati per le previsioni, non sono affidabili perchè si basano sulla teoria economica tradizionale che adotta una visione preanalitica lineare dell’economia umana, secondo la quale essa può continuare ad espandersi materialmente in modo indefinito, senza mai trovare limiti lungo il suo cammino. Da qualche tempo, però, i dati sperimentali ci raccontano un’altra storia. Essi ci dicono che le dimensioni dell’ economia globale si stanno pericolosamente avvicinando a quelle dell’ecosistema (l’ambiente) che la contiene interamente. Anzi, i primi limiti sono già stati superati e sono quelli che riguardano l’approvvigionamento energetico ed il riscaldamento globale.


Il petrolio non manca, ma …

Nonostante una domanda di energia in potenziale crescita, dal 2005 la produzione mondiale annua di petrolio a buon mercato (quello convenzionale) ha raggiunto il suo massimo e da allora non aumenta più. Il leggero aumento dell’offerta mondiale annua di petrolio è dovuto alla produzione di petrolio non convenzionale, soprattutto di petrolio da scisto. Purtroppo, anche questa risorsa sembra aver raggiunto il suo picco mondiale, nonostante gli enormi sforzi, tecnologici ed economici che le compagnie petrolifere stanno profondendo nel tentativo di aumentarne la produzione.

Anche ammettendo, come dichiara l’OPEC (l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), che sotto terra vi siano ancora grandi riserve di petrolio (riserve che non sono mai state sottoposte a revisione contabile e che molti esperti ritengono che siano seriamente sopravvalutate), il problema non è tanto la quantità di petrolio ancora presente sotto terra quanto i limiti che abbiamo raggiunto sia nell’offerta, a causa della diminuzione dei rendimenti energetici di estrazione, che nella domanda di oro nero.

Dal lato dell’offerta, il problema, riguarda l’esistenza di un limite al flusso mondiale di petrolio disponibile per gli usi finali, ossia al suo tasso di estrazione e raffinazione. In altri termini, all’inizio del millennio abbiamo raggiunto il limite dell’offerta mondiale annua di petrolio convenzionale, quello a basso prezzo. Sotto terra rimane ancora molto petrolio (almeno tanto quanto ne è stato estratto finora) ma è un petrolio situato in giacimenti sempre più inaccessibili: nelle acque profonde, sotto i ghiacci polari, nelle sabbie bituminose o nelle formazioni arenarie (shale oil). E’ un petrolio che può essere estratto e reso disponibile per gli usi finali, con ritorni degli investimenti energetici sempre più bassi e con grave inquinamento dell’ambiente. Ciò significa che si tratta di un petrolio molto costoso da estrarre e che, per fabbricare i prodotti energetici per l’uso finale,occorrono molte più risorse di ogni tipo (finanziarie, tecnologiche, umane), che sono inevitabilmente sottratte alla crescita dell’economia reale.

La situazione nella quale ora ci troviamo, viene letta in modo diverso, a seconda delle scuole di pensiero economico. Secondo la teoria economica tradizionale, che si basa sull’approccio analitico, lineare e riduzionista, e che ripone una fiducia illimitata nei mercati liberi e nel sistema dei prezzi, si ritiene che la progressiva scarsità del petrolio (come di qualsiasi altra risorsa), venga automaticamente e prontamente rivelata da un sensibile e costante aumento del suo prezzo. Gli economisti tradizionali sono veramente convinti che quello sarà un segnale chiaro ed evidente, che indica l’esatto momento in cui occorre iniziare a preoccuparsi per la sua sostituzione. Purtroppo, l’evidenza empirica mostra che, storicamente, quel segnale di allerta non si è verificato spesso.

Secondo gli economisti ecologici, invece, che studiano l’ economia come un sistema complesso, l’offerta mondiale di petrolio convenzionale, quello a buon mercato, ha raggiunto un limite che può essere superato solo estraendo il petrolio da giacimenti non convenzionali (shale oil, tight oil e tar sands), a condizione di un sensibile aumento del suo prezzo. Il prezzo del petrolio, però, non può crescere indefinitamente perché, ad un certo punto, si incontra un altro limite, quello relativo alla domanda. A differenza di quanto si ritiene comunemente, la domanda di petrolio, sebbene abbia la tendenza a crescere continuamente, non è poi così rigida. Con l’aumento del prezzo del petrolio, le imprese sono costrette a scaricare i maggiori costi sui prezzi delle merci e dei servizi prodotti e, per limitare un loro eccessivo aumento, tendono a mantenere costanti i salari dei lavoratori dipendenti, i quali vanno incontro ad una progressiva  perdita del loro potere d’acquisto. D’altra parte, i lavoratori dipendenti, che sono anche i consumatori delle merci prodotte, si trovano di fronte alla scelta se risparmiare sulle spese primarie (cibo, vestiario, alloggio) e non pagare le tasse e i vari balzelli oppure se ridurre le spese accessorie. Ovviamente essi scelgono di tagliare le spese opzionali ma questa loro decisione si traduce in minori profitti per le imprese dei settori dei beni discrezionali le quali, per contenere le perdite, si trovano a dover licenziare molti loro dipendenti. Così aumenta il livello di disoccupazione del Paese e crescono le spese governative per i servizi di assistenza sociale. In definitiva, il considerare l’economia come un sistema complesso ci fa capire perché il prezzo del petrolio non può aumentare oltre un certo limite, superato il quale si innesca la recessione economica.

In conclusione, per comprendere a fondo i complessi fenomeni economici occorre un cambiamento di paradigma. Si deve abbandonare il tradizionale approccio cognitivo analitico, lineare, tipico dell’economia tradizionale, e adottare il nuovo approccio cognitivo, quello di sintesi, che è più adatto ad affrontare e gestire i problemi di una realtà socioeconomica che è complessa e sistemica e che presenta una dinamica spesso controintuitiva e sorprendente. 


Il problema energetico e la crescita economica

Nei trent’anni gloriosi, successivi alla seconda guerra mondiale, l’economia reale dei Paesi industrializzati ha conosciuto una favolosa crescita, con un aumento medio del PIL procapite dell’ordine del 3 % all’anno, soprattutto grazie alla notevole disponibilità di energia fossile a buon mercato. A partire dagli anni ’80, la spinta alla crescita dell’economia, basata sull’energia a basso costo (responsabile, per i due terzi, della crescita del PIL procapite), è iniziata a venir meno e, per la prima volta, il mondo ha conosciuto l’esistenza del problema energetico.

La crisi energetica, che tuttora insidia l’economia mondiale, nasce dal conflitto tra l’offerta e la domanda di energia. A differenza di quanto ritenuto dalla teoria economica tradizionale, l’economia umana è caratterizzata da una struttura sistemica complessa e presenta una dinamica non lineare. Per effetto dell’incapacità dei consumatori di acquistare le merci prodotte con un petrolio più caro, si innesca un anello di retroazione di rinforzo, di tipo pernicioso, che avvita l’economia in una recessione sempre più pesante. La domanda di merci e quindi anche di petrolio diminuisce e, paradossalmente, ci si trova con un’economia in recessione, anche se con un eccesso di disponibilità di petrolio, a prezzi contenuti.



L’aspetto da temere non è tanto la mancanza assoluta di petrolio (abbiamo visto che c’è ancora molto petrolio sotto terra), quanto invece il limite massimo alla produzione annua di petrolio a buon mercato, dovuto alla progressiva diminuzione dei rendimenti energetici di estrazione e produzione. Il parametro critico risulta essere il massimo prezzo del petrolio che l’economia è disposta a sopportare, prima di entrare in recessione.

Alcuni studi indicano che il limite del prezzo del petrolio oltre il quale l'economia americana entra in recessione è di 85 dollari al barile (in dollari del 2009). Comunque, con l’aumentare del prezzo del petrolio, le forze recessive tendono a prevalere e riportano il suo prezzo verso il basso. In tali condizioni la domanda di petrolio riprende ad aumentare ma questo fa aumentare anche il suo prezzo il quale non può rimanere elevato a lungo altrimenti si innesca un’altra e più dura recessione. La struttura sistemica del problema dà origine ad una dinamica oscillante del prezzo del petrolio, il cui valore non può salire oltre un certo limite che, però, non è in grado né di permettere un significativo aumento della produzione di petrolio non convenzionale né di rendere competitive (senza incentivi) le fonti energetiche "rinnovabili". In appendice viene riportata la mappa (semplificata) della struttura sistemica del problema (CLD), dalla quale si evince la curiosa dinamica del prezzo del petrolio.

Per inciso, la domanda di energia potrebbe continuare a crescere per sostenere l’aumento dell’offerta di petrolio non convenzionale a prezzi crescenti, se venisse eliminato il limite al potere di acquisto dei consumatori; ad esempio, consentendo ai salari di aumentare, in proporzione (scala mobile). Ovviamente, non possiamo pensare che l’eliminazione di un limite risolva definitivamente il problema dell’approvvigionamento di energia. I dati dell’esperienza indicano che, ogni volta che si elimina un limite, il risultato è l’avvicinamento di quelli successivi. Nel nostro caso, le conseguenze sarebbero un anticipato esaurimento della risorsa e un più sostenuto inquinamento.

Tenendo presente che ciò che è stato detto a proposito del petrolio vale per tutti i combustibili fossili, a causa delle limitazioni al potere d’acquisto dei lavoratori, in un prossimo futuro, lo scenario economico più probabile sarà quello di una progressiva diminuzione del flusso mondiale di energia disponibile per gli usi finali, che impedirà all’economia globale di crescere materialmente in modo illimitato. 

(continua)



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