LE CRITICITA' DEL PIL – Parte 1 (perché il PIL è un pessimo indicatore di prosperità)
L’economia
si deve insegnare nella scuola di base
La crisi economica,
iniziata negli USA, nel 2007 – 2008, con la cosiddetta crisi dei mutui
subprime, è stata poi esportata in Europa. Pur essendo stata ampiamente
superata negli Stati Uniti, l’ Italia e diversi altri Paesi dell’area euro sono
ancora coinvolti in una crisi dovuta sia all’attuale situazione congiunturale
mondiale ma soprattutto ai rigidi vincoli che i trattati dell’ Unione Europea
hanno imposto agli Stati membri dell’eurozona, specialmente in termini di
controllo della spesa pubblica. I cittadini, generalmente all’oscuro dei
meccanismi in atto, sono molto confusi e preoccupati per i loro risparmi e sono
ansiosi di sapere se potranno ancora mantenere il loro stile di vita.
La gente è terrorizzata
dai termini esclusivamente anglofoni e dagli acronimi volutamente oscuri,
utilizzati dai media; parole che servono ad incutere rispetto e a dare
importanza ad una disciplina che è ancora affetta da un grande complesso di
inferiorità nei confronti delle scienze “hard”: la fisica e la chimica che, a
differenza dell’economia, hanno avuto un grande successo nella storia delle
scienze. Quotidianamente, i media ossessionano la gente con concetti come:
debito pubblico, deficit di bilancio, “spread”, “rating”; termini giunti
prepotentemente alla ribalta da non più di un decennio e prima del tutto ignoti
al grande pubblico.
Serve un’istruzione
scolastica di base in economia
Le persone (anche a
causa di un’istruzione scolastica di base del tutto assente in materia di
economia) sono intimidite e ritengono che l’economia sia una materia difficile
da comprendere, una questione da lasciare agli economisti, perché loro sì che
sanno cosa fare per il bene della società! Ovviamente è un grave errore, ma la
gente non fa neppure il minimo sforzo per capire almeno le basi dell’economia
e, nella più completa ignoranza, affida speranzosa i risparmi di tutta una vita
di sacrifici, ai cosiddetti “esperti”, confidando nei loro consigli, non
sapendo che quest’ultimi, dovendo rispondere a direttive superiori, spesso le
plagiano e le illudono, promettendo loro guadagni facili quanto impossibili.
Il
PIL non è uno strumento adatto a misurare il benessere
La teoria economica
tradizionale, chiusa nella sua torre d’avorio, utilizza ancora modelli
macroeconomici di equilibrio generale che imitano i modelli della fisica del
‘700, la fisica del moto perpetuo, senza preoccuparsi che i risultati
corrispondano ai dati dell’osservazione. Da qui le numerose difficoltà ed
aporie che affliggono la teoria economica dominante e la scarsa attenzione che
essa riscuote tra il pubblico. Tra i numerosi errori concettuali, uno in
particolare è criticato dall’economia ecologica: l’uso del PIL (Prodotto
Interno Lordo) come unica metrica per misurare il livello di progresso o di
benessere generale di un Paese.
La teoria economica
tradizionale richiede che il PIL venga impiegato nella contabilità nazionale ed
internazionale e per la predisposizione delle politiche economiche. Quest’ultime
vengono progettate e poi verificate, in termini di efficacia, sulla base di una
sua perenne crescita nel tempo, unica garanzia della stabilità dell’intero
sistema socioeconomico.
Per definizione, il PIL
(Prodotto Interno Lordo) di un Paese è :
un indicatore statistico,
macroeconomico, quantitativo e sintetico (un numero) che misura in unità
monetarie, il valore dell’aggregato della produzione di beni e servizi,
scambiati sui mercati, che i residenti di un Paese realizzano in una data unità
di tempo (un anno).
Come sottolinea
l’economia ecologica, il PIL è anche :
un indicatore quantitativo che misura
il transflusso, ossia la quantità di risorse biofisiche (materia ed energia)
che, nell’unità di tempo, attraversano il confine tra il sottosistema socioeconomico
ed il suo ambiente (ecosistema), per consentire il funzionamento dei processi
produttivi.
Date le sue
caratteristiche di indicatore quantitativo, il PIL non è adatto a rappresentare
adeguatamente le caratteristiche qualitative di un Paese, come il livello di
benessere sociale e di sviluppo sostenibile.
E’ vero che gli economisti tradizionali negano di utilizzare il PIL come indicatore qualitativo della prosperità di una nazione perché concordano che esso misura solo il valore quantitativo, in termini monetari, di tutti i beni e servizi prodotti all'interno di un Paese, in un anno (è uno dei modi di misurare il PIL). Sta di fatto, però, che l’economia tradizionale usa il PIL come unica metrica ufficiale per:
- predisporre le politiche economiche e controllarne l’efficacia;
- valutare l’andamento generale dell’economia di un Paese (la decrescita del PIL è fonte di preoccupazione per i leader politici);
- fornire una classificazione delle prestazioni economiche degli Stati (i Paesi con un PIL procapite superiore sono giudicati complessivamente migliori di quelli in posizioni più arretrate);
- definire le condizioni di stagnazione, recessione e depressione economica di un Paese.
I valori ambientali e
sociali sono qualità pluridimensionali, incommensurabili; pertanto, non si
possono ridurre ad una semplice misura quantitativa, sintetica, monetaria come
il PIL. Ovviamente questo non vuol dire che le caratteristiche qualitative non
si possano misurare. Il loro confronto, su una base razionale, è sempre
possibile purchè le valutazioni qualitative vengano effettuate impiegando
metriche più complesse, multicriteriali, che permettano di valorizzare i
fattori qualitativi, ambientali e sociali, di vitale importanza per uno
sviluppo sostenibile.
Il
PIL è uno strumento inadeguato, del quale sbarazzarci al più presto
Il PIL fu introdotto
nella contabilità nazionale degli Stati negli anni ’30 del ‘900, in seguito alla
grande depressione del 1929, spinti dalla necessità di individuare nuovi modi
di misurare l’attività economica di un Paese. E’ opportuno sottolineare che, in
precedenza, anche quando non esisteva il PIL, le economie dei Paesi occidentali
andavano comunque abbastanza bene. Questo per dire che il PIL non è un
indicatore indispensabile per una corretta conduzione dell’economia di un
Paese; non è uno strumento miracoloso e irrinunciabile, con il quale misurare
tutto e, senza il quale, siamo tutti persi; non è un idolo da adorare e servire
per propiziarci la sua benevolenza. Il PIL si rivela invece un ostacolo che ci
impedisce di orientare la nostra economia verso uno sviluppo sostenibile. In un
prossimo futuro riusciremo finalmente a sbarazzarci del PIL e lo sostituiremo
con altri indicatori macroeconomici più idonei a misurare il benessere e lo
sviluppo sostenibile di un Paese. E’ garantito, non ne avremo nostalgia né
patiremo amare conseguenze.
In Italia, il PIL fu
introdotto nella contabilità nazionale agli inizi degli anni Settanta ma è solo
da quando siamo entrati nell’area Euro che gli italiani hanno sviluppato nei
suoi confronti una terribile nevrosi. La gente oggi è ossessionata dalla sua
crescita annuale e si dispera quando rallenta, ristagna o decresce. Le
variazioni annuali del PIL sono una caratteristica normale dell’indicatore
perché dipendono dalla disponibilità, nell’economia del Paese, delle risorse,
dei fattori produttivi (lavoro e capitale) e della loro efficienza di impiego.
Eppure, i rappresentanti politici e i media, che amplificano e diffondono il
loro verbo, ci ossessionano quotidianamente sull’inadeguatezza della nostra
economia, misurata dal PIL. Ci intimidiscono per l’elevato rapporto deficit
pubblico su PIL e debito pubblico su PIL e noi, con grande ansia, paura e
speranza seguiamo le sue variazioni annuali. Non riflettiamo sul fatto che
l’economia di un Paese è un sistema talmente complesso che non ha assolutamente
senso rappresentarla unicamente con uno strumento così rozzo come lo è il PIL.
Piuttosto dovremmo interrogarci sulle responsabilità delle politiche vigenti
nell’eurozona, sul ruolo che esse esercitano sulla nostra economia e se non sia
giunto il momento di cambiarle.
Dobbiamo sempre
ricordarci che gli strumenti che utilizziamo, in un certo senso, modificano la
visione che abbiamo della realtà. Ad esempio, se tutti noi avessimo un
martello, come unico strumento a disposizione, tenderemmo a vedere tutti i
nostri problemi come chiodi che potremo risolvere conficcandoli tutti in un
asse di legno. Quello che qui si vuole sottolineare è che la crisi economica
che stiamo vivendo, almeno in parte, è provocata dal modo in cui misuriamo e
guidiamo l’economia. Oggi, in un contesto socioeconomico turbolento,
caratterizzato da grande volatilità, incertezza, complessità e ambiguità (in
inglese VUCA), non possiamo limitarci ad usare il solo PIL per guidare la
società e l’economia verso un porto sicuro e uno sviluppo sostenibile
Conclusioni
Come si evince dalla
definizione, il PIL non esprime alcun giudizio esplicito sulla natura delle
attività economiche effettuate ma si limita solamente a quantificare, in unità
monetarie, l’entità delle transazioni economiche tra gli agenti. Il PIL dunque
è solo un indicatore del livello di attività economica e non distingue tra i
valori monetari associati ai costi e ai benefici. Insomma, il PIL è un buon
indicatore dell’attività economica ma è pessimo misuratore dello sviluppo
sostenibile di una nazione. Eppure, la teoria economica tradizionale impiega il
PIL come principale (e unico) indicatore dello sviluppo e del benessere di un
Paese e si preoccupa del suo andamento annuale.
Occorre ribadire che non
vi è nulla di soprannaturale nel PIL; è solo un misuratore (perfettibile) di
quanto un’economia produce e lo si deve impiegare solo come tale. Se, invece,
lo carichiamo di significati più grandi, che non possiede, come quando lo
usiamo per progettare politiche economiche di sviluppo di un Paese, allora può
diventare uno strumento pericoloso e causare seri problemi.
Le osservazioni che sono
state mosse nei confronti del PIL sono invero numerose, a partire dal famoso
discorso che, oltre cinquant’anni fa, il 18 Marzo del 1968, Robert F. Kennedy tenne
all'università del Kansas. Le critiche riguardano la sua inadeguatezza ad
essere utilizzato, nella contabilità nazionale, per indicare il benessere
sociale ed economico e la sostenibilità dello sviluppo di un Paese. I parametri
cruciali che concorrono a determinare il benessere di una nazione non sono
quelli considerati dal PIL, che rimane solo un indicatore sintetico, monetario,
di mera quantità di attività economica.
Nel quadro sinottico sottostante
sono elencate le principali critiche mosse nei confronti del PIL che saranno discusse
in modo approfondito in questo post, suddiviso in più parti. Lo scopo è di
fornire un altro punto di vista, diverso da quello tradizionale, nella speranza
di poter alimentare un dialogo trasparente, sereno ed onesto che ci renda più consapevoli
dei suoi numerosi lati oscuri e la necessità di riequilibrare l’esagerato ruolo
che oggi il PIL ricopre nella contabilità nazionale ed internazionale degli
Stati.
QUADRO SINOTTICO DELLE PRINCIPALI CRITICHE MOSSE
AL PIL
1
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I dati per il calcolo
del PIL sono di difficile rilevamento
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2
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Il PIL non distingue
tra attività economica (reddito) e benessere (o qualità della vita)
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3
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Il PIL ignora
l’esistenza dei limiti alla crescita dell’economia umana
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4
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Con il PIL è
impossibile stabilire se un Paese sta vivendo di reddito oppure di capitale
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5
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Il PIL non misura
correttamente il reddito sostenibile (il vero potere d’acquisto)
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6
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Il PIL non distingue
tra i benefici e i costi della crescita economica
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7
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Il PIL promuove un’ingiusta
distribuzione dei redditi
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8
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Il PIL non valorizza il
capitale naturale e i servizi ecosistemici e ne facilita la distruzione
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9
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Il PIL non valuta
correttamente le spese difensive e compensative
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10
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Il PIL non registra le
attività economiche sommerse
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11
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Il PIL ignora le
attività non soggette a transazioni monetarie
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12
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Il PIL nasconde i
danni (inquinamento e degrado ambientale) causati dai processi economici
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13
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Il PIL non valorizza
il capitale umano
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14
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Il PIL incentiva la
produttività dei fattori di produzione e mortifica la produttività delle
risorse naturali
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15
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Il PIL non considera i
cambiamenti di valore subiti dai beni materiali e finanziari
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Dobbiamo riflettere
sull’ opportunità di continuare ad utilizzare il PIL per guidare la nostra
economia e dobbiamo renderci conto che è assolutamente necessario affiancargli
o, meglio ancora, sostituirlo con altri indicatori, più idonei. Potremo così
disporre di strumenti migliori per misurare e guidare l’ economia verso uno
sviluppo sostenibile e controllare lo stato di benessere e il livello di
sviluppo di un Paese.
Nell’era della
globalizzazione, con i ritmi e la complessità degli scenari che caratterizzano
l’economia dei tutti i Paesi, il PIL è diventato uno strumento troppo rozzo e
inadatto per affidargli il controllo del sistema.
E’ assurdo pensare che gli
economisti impieghino così tanto tempo per rilevare e analizzare, più volte in
un anno, grandi quantità di dati economici per poi condensarli, con un’enorme perdita
di informazione, in un unico indice quantitativo, sintetico e monetario che è
il PIL.
(continua)
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