LE CRITICITA’ DEL PIL – Parte 2 (perché il PIL è un pessimo indicatore di prosperità)
Abbiamo visto che il PIL
è un indicatore macroeconomico, quantitativo e sintetico che si limita a
misurare la quantità di risorse biofisiche (materia ed energia) che, nell’unità
di tempo, attraversano il confine tra il sottosistema socioeconomico (l’economia
umana) e l’ecosistema (il suo ambiente) per alimentare i processi produttivi.
Data la sua connotazione quantitativa, il PIL non è pertanto uno strumento
idoneo a rappresentare adeguatamente le caratteristiche qualitative di un
Paese, come il livello di benessere sociale e di sviluppo sostenibile.
Nel presente post e in
quelli a seguire si discutono, ad un certo livello di approfondimento, le
principali critiche che sono state mosse nei confronti del PIL. Lo scopo è di
fornire un contributo di chiarezza, fare luce sui suoi numerosi lati oscuri,
tenuti nascosti dall’economia tradizionale, e ridimensionare l’esagerato ruolo
che oggi il PIL ricopre nella contabilità nazionale ed internazionale degli
Stati.
1. I DATI PER IL CALCOLO DEL PIL SONO DI
DIFFICILE RILEVAMENTO
Il PIL (Prodotto Interno
Lordo) si ricava generalmente da indagini statistiche complesse, come i
censimenti. La raccolta quantitativa dei dati non è sempre di facile
realizzazione ed è soggetta ad imprecisioni che dipendono dal grado di veridicità
nella compilazione dei questionari, da difficoltà etniche e linguistiche, da
analfabetismo (nelle aree arretrate), ecc.
2. IL PIL NON DISTINGUE TRA ATTIVITA’
ECONOMICA (REDDITO) E BENESSERE (O QUALITA’ DELLA VITA)
Valutazione
quantitativa di obiettivi economici qualitativi
Secondo le norme di
contabilità nazionale, l’attività economica di un Paese deve essere descritta
utilizzando il PIL (Prodotto Interno Lordo). Ribadiamo ancora una volta che :
il PIL è un indicatore macroeconomico,
quantitativo e sintetico (un numero) che misura, in unità monetarie, il valore
dell’aggregato della produzione di beni e servizi, scambiati sui mercati, che i
residenti di un Paese realizzano in un anno. In altri termini, il PIL misura il
transflusso, ossia la quantità di risorse biofisiche (materia ed energia) che,
nell’unità di tempo, attraversano il confine tra il sottosistema socioeconomico
ed il suo ambiente (ecosistema), per consentire il funzionamento dei processi
produttivi.
Ricordiamoci anche che
quando utilizziamo un indicatore quantitativo, come il PIL, per valutare
caratteristiche economiche qualitative, come il benessere sociale o la
prosperità di un Paese, rischiamo di incorrere in situazioni paradossali.
D’altra parte, gli
strumenti che utilizziamo non sono mai neutri perchè ogni atto di misura che
compiamo comporta un’interferenza con la realtà misurata e modifica la visione
che noi abbiamo della realtà. Il concetto cartesiano di totale separazione tra
osservatore e oggetto osservato non vale più nemmeno nelle scienze esatte (in
meccanica quantistica è noto come “principio di Indeterminazione di
Heisenberg”) e non è mai stato valido nelle scienze sociali, come lo è
l’economia.
Ricordiamoci che quando
si utilizzano metriche quantitative per controllare le caratteristiche
qualitative dei prodotti si rischia sempre di incorrere in situazioni
paradossali. Non è raro trovare situazioni particolarmente assurde nei Paesi ad
economia pianificata, dove si fa un grande uso di indici quantitativi per
definire le prestazioni dei prodotti, ma esempi ugualmente paradossali sono
frequenti anche nei Paesi ad economia di libero mercato.
I
paradossi della valutazione qualitativa con strumenti quantitativi
Tutte le volte che si
utilizza un indice quantitativo per misurare una caratteristica qualitativa, si
incappa sempre in qualche soluzione paradossale.
Un esempio è quello del
legislatore che stabilisce che una stoffa, per essere di qualità, non deve
essere di lunghezza inferiore ad un dato valore (obiettivo economico
quantitativo). Ovviamente i produttori di stoffe dovranno rispettare la
prescrizione ma, per essere competitivi sul mercato, tenderanno a produrre
stoffe di larghezza inferiore. Il legislatore potrebbe allora imporre un limite
inferiore alla superficie della stoffa. Ancora una volta, i produttori si
adegueranno alla prescrizione ma, per essere competitivi, tenderanno a produrre
stoffe di spessore inferiore. A questo punto il legislatore potrebbe decidere
di imporre un limite inferiore al peso della stoffa e, in tal caso, i
produttori, per essere competitivi, cercheranno di realizzare stoffe di
spessore maggiore, per ridurre la superficie lavorata.
Un altro esempio
paradossale è quello della valutazione di un accademico. Se si decide che il
suo avanzamento di carriera non dipende da qualche sua interessante scoperta o
dalla diffusione di nuova conoscenza ma è unicamente in funzione del numero di
volte che il suo nome compare nelle pubblicazioni, è evidente che quel
ricercatore cercherà di aumentare la quantità di lavori dove appare anche il
suo nome, riducendo la lunghezza degli articoli e, preferibilmente, scrivendoli
in collaborazione con molti altri colleghi. Questo, con buona pace per la
diffusione della vera conoscenza.
Il
PIL non misura correttamente le caratteristiche qualitative
Il PIL è un indicatore
quantitativo e quando viene utilizzato per misurare una variabile qualitativa,
come il benessere di una nazione, non sfugge al paradosso. Non solo il PIL non
può misurare correttamente il benessere di un Paese ma, addirittura, il suo
impiego comporta un’interferenza con la realtà misurata, che viene distorta.
I dati storici ci
indicano che quando eravamo lontani dai limiti, perché le dimensioni
dell’economia umana (sottosistema socioeconomico) erano ancora piccole rispetto
a quelle dell’ambiente (ecosistema) che la contiene, esisteva una
proporzionalità diretta tra la crescita del PIL e la crescita del benessere
della popolazione. Ora però, con la sua continua espansione, le dimensioni
dell’economia globale si stanno pericolosamente avvicinando ai limiti imposti
dalla capacità portante del pianeta, e quella relazione di proporzionalità
cessa di valere. Il tasso di crescita dell’economia globale inizia a
rallentare, per poi cessare del tutto, per adattarsi alla dinamica di tipo
stazionario dell’ecosistema che la racchiude.
L’effetto dei limiti si
sta già facendo sentire in vari modi nella nostra economia globalizzata. Ne sono
un esempio i primi segnali:
- di scarsità del capitale naturale non rinnovabile (minerali utili, combustibili fossili, ecc.), che viene liquidato in modo scriteriato,
- di esaurimento del capitale naturale rinnovabile (strato fertile dei terreni, foreste, riserve ittiche oceaniche, biodiversità, ecc.), che è esageratamente sovra sfruttato,
- di saturazione della capacità di assorbimento dei rifiuti e dell’inquinamento da parte dei serbatoi naturali (aria, acqua e terreni)
- di degradazione e di danneggiamento irreversibile dei servizi ecosistemici che la natura ci fornisce gratuitamente e che sono indispensabili per la nostra sopravvivenza.
Giova ribadire che
quando si progettano politiche economiche, impostate sulla crescita perenne del
PIL, che puntano ad aumentare il benessere e la prosperità di un Paese, quasi sempre
il risultato ottenuto è paradossale e catastrofico. Se una politica economica,
basata sulla crescita illimitata del PIL, mira a far crescere l’economia di uno
Stato oltre le sue dimensioni ottimali (oltre il punto B in Fig. 1). Oltre il
limite economico B, si entra in una zona dove i costi della crescita superano i
benefici e, paradossalmente, assistiamo ad un PIL che continua ad aumentare ma
il Paese diventa sempre più povero ed inquinato.
Oggi ci troviamo con
un’economia globalizzata che ha dimensioni pericolosamente vicine ai limiti
imposti dell’ecosistema (alcuni dei limiti sono già stati superati). Ben presto
l’economia cesserà di crescere e assumerà una dinamica di stato stazionario,
per coevolvere con l’ecosistema, secondo uno sviluppo sostenibile. Dobbiamo
assecondare e guidare la transizione dall’attuale economia della crescita
biofisica illimitata all’economia dello stato stazionario e dello sviluppo
sostenibile. Per fare questo dobbiamo al più presto abbandonare il PIL che,
come abbiamo visto, è un indicatore ingannevole, che distorce la realtà e ci fa
credere in un’economia della crescita infinita, impossibile su un pianeta dalle
risorse biofisiche limitate, mentre ci spinge verso una crescita antieconomica
che ci impoverisce, ci inquina e mette in pericolo la nostra stessa
sopravvivenza sul pianeta. Se non facciamo nulla sarà la natura stessa ad
imporci il cambiamento perché l’economia non potrà mai superare in modo
permanente i limiti ambientali. Però, se questo accadrà, non sarà di certo piacevole
per la specie umana.
Purtroppo, per ovvie
ragioni politiche, sarà impossibile sbarazzarci del PIL nel breve termine.
Però, noi cittadini possiamo fare qualcosa già da subito. In primo luogo il
cambiamento richiede una presa di coscienza. Dobbiamo informarci per capire
cosa sta succedendo e perché è necessario cambiare il nostro attuale sistema
economico e sbarazzarci del PIL. Successivamente dobbiamo confrontarci con
amici e conoscenti, dei quali ci fidiamo, per vincere tutti i dubbi e le ancora
forti resistenze al cambiamento. Il confronto con gli altri è fondamentale per
superare la paura, acquisire sicurezza ed essere profondamente convinti della
necessità di cambiare. Il nostro obiettivo sarà quello di essere pienamente
consapevoli e convinti che è assurdo insistere a voler far crescere il PIL a
tutti i costi, perché, superate le dimensioni ottimali, l’ulteriore crescita
del PIL non significa più aumento di ricchezza e benessere bensì impoverimento,
inquinamento e disgregazione sociale. In pratica, oltre la dimensione economica
ottimale, il PIL si trasforma in CIL “costo interno lordo”.
Dobbiamo invece
sviluppare una visione positiva del futuro ed essere fiduciosi che, se
vogliamo, possiamo realizzare un diverso modello socioeconomico: il paradigma
dell’ecologia integrale, che si basa sull’economia dello stato stazionario, un
sistema economico che sbarazzatosi definitivamente di ogni tara è finalmente
libero di assicurare a tutti uno stile di vita prosperoso e sostenibile.
3. IL PIL IGNORA L’ESISTENZA DEI LIMITI ALLA
CRESCITA DELL’ECONOMIA UMANA
Secondo la visione
preanalitica della teoria economica tradizionale, il PIL è un indice pensato
per misurare l’economia umana che può espandersi all’infinito, nel vuoto, senza
incontrare ostacoli di alcun genere (Fig. 2). Per come è stata originariamente
progettata, la struttura sistemica dell’economia tradizionale è costituita da
un anello di retroazione di rinforzo virtuoso (il motore della crescita) che è
stabile solo in condizioni di crescita esponenziale illimitata. (Fig. A1) E’
palesemente una situazione insostenibile perchè l’economia umana opera su un
pianeta dalle risorse biofisiche limitate. Al raggiungimento dei limiti, la
dinamica dell’anello di retroazione si inverte e, da virtuoso, l’anello di
retroazione diventa vizioso e il sistema socioeconomico inizia a collassare.
(Fig. A2)
Fig.
2 Visione dell’economia classica
Secondo la visione preanalitica dell’economia
ecologica, l’economia globale umana è un sottosistema socioeconomico aperto al
passaggio di energia e materia (transflusso) con l’ecosistema globale
(l’ambiente) che lo contiene completamente. Dal canto suo, l’ecosistema è un
sistema chiuso alla materia e aperto all’energia radiante, di dimensioni
finite, che non si espande (Fig. 3).
Fig.
3 Visione dell’economia ecologica
L’economia mondiale,
governata dal paradigma tecnocratico che le impone una crescita esponenziale,
si sta pericolosamente avvicinando alle dimensioni finite dell’ecosistema, il
quale, invece, presenta una dinamica di stato stazionario. I due sistemi hanno
dinamiche chiaramente incompatibili e, continuando così, sono inevitabilmente
destinati a collidere, con conseguenze drammatiche. Comunque, sarà l’economia
umana, in quanto sottosistema, a dover soccombere se non passerà in tempo ad
una dinamica di stato stazionario, per poter coevolvere in armonia con il suo
ambiente, in modo sostenibile.
Nella sua continua
crescita, misurata dal PIL, l’economia umana globale, in alcuni settori, ha già
superato le dimensioni ottimali e da qualche tempo si stanno già manifestando i
primi effetti della collisione tra i due sistemi. Lo si vede in termini di
distruzione del capitale naturale e di degrado dei servizi ecosistemici ma
anche in termini di aumento dell’ingiustizia sociale, aumento del divario tra
la fascia ricca e la fascia povera della popolazione, e progressiva sparizione
della classe intermedia, sfruttamento delle persone, elevata disoccupazione.
APPENDICE
Per
gli appassionati di pensiero sistemico ecco il CLD (causal loop diagram) che
descrive la struttura sistemica (semplificata) della crescita economica
illimitata, secondo il modello dell’economia tradizionale, per il caso particolare
del prodotto industriale. Come si nota, la struttura è costituita da un unico
anello di rinforzo R (retroazione
positiva), virtuoso, che imprime al prodotto industriale una crescita senza
limiti (il motore della crescita):
Fig.
A1 CLD del motore della crescita
classica, nel caso del prodotto industriale
Ecco
invece il CLD (semplificato) che, secondo il modello dell’economia ecologica, evidenzia
i limiti della crescita nel caso particolare del prodotto industriale. Come si
nota, oltre all’anello di rinforzo R
(retroazione positiva) è presente anche un anello di bilanciamento B (retroazione negativa) che si attiva dopo
un certo tempo di ritardo e limita la crescita del prodotto industriale a causa
(in questo esempio) dello scarseggiare delle risorse naturali non rinnovabili. Quando
interviene, l’anello di bilanciamento B
inverte la dinamica dell’anello R che
da virtuoso (di crescita) diventa vizioso (di collasso). Come si evince dal
diagramma BOT (Behavior Over Time), che traccia la dinamica del prodotto
industriale, in un primo tempo si assiste ad una crescita esponenziale che, con
l’avvicinarsi dei limiti, inizia dapprima a flettere poi a ristagnare, quindi a
decrescere e collassare.
Fig.
A2 CLD della struttura sistemica e diagramma
BOT che illustra la dinamica del prodotto industriale, soggetto ai limiti
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