LE CRITICITA' DEL PIL – Parte 3 (perché il PIL è un pessimo indicatore di prosperità)


Prosegue la discussione di approfondimento sulle principali critiche mosse nei confronti del PIL allo scopo di fornire un contributo di chiarezza, fare luce sui suoi numerosi lati oscuri, tenuti nascosti dall’economia tradizionale, e ridimensionare l’esagerato ruolo che oggi il PIL ricopre nella contabilità nazionale ed internazionale degli Stati. E’ fondamentale che il cittadino elettore si renda conto che il PIL è solo un indicatore sintetico quantitativo, espresso in una dimensione valoriale, simbolica, monetaria (in pratica, è un numero) e non può misurare in modo serio ed adeguato le prestazioni di un sistema tanto complesso come lo è l’economia di un Paese. E’ assolutamente necessario affiancare o, meglio ancora, sostituire il PIL con un insieme di indicatori, biofisici, qualitativi, più complessi, capaci di valutare in modo appropriato il livello di benessere e guidare l’economia del Paese verso uno sviluppo sostenibile.


4.      CON IL PIL E’ IMPOSSIBILE STABILIRE SE UN PAESE STA VIVENDO DI REDDITO OPPURE DI CAPITALE

IL PIL incentiva la distruzione del capitale naturale

Come si è già avuto occasione di sottolineare, un qualsiasi indice di misura non è mai neutro perché il suo impiego interferisce e, in qualche modo, altera la realtà misurata. Ad esempio, l’utilizzo del PIL comporta generalmente gravi conseguenze, sia nel medio che nel lungo termine.


Per la gente è esaltante vivere in un contesto economico con il PIL in forte crescita; tutti si sentono euforici e spronati verso un comportamento fortemente consumistico che non si preoccupa della rapida dissipazione delle risorse naturali, del danneggiamento dei servizi ecosistemici e dell’accumulo di rifiuti tossici, scorie nucleari e diffuso inquinamento.  Le persone si convincono che quella della crescita materiale illimitata sia la strada giusta, l’unica che conduce ad una condizione di vita sempre più ricca e benestante.

Tuttavia, si è più volte ripetuto che il PIL è un discreto indicatore dell’attività economica ma un pessimo misuratore del reddito sostenibile e del benessere di un Paese. Quando lo si usa nella contabilità nazionale o internazionale, qualsiasi attività economica sia che essa comporti un beneficio oppure che rappresenti un costo dovuto ad una spesa difensiva da sostenere, comporta sempre una crescita del reddito e la si interpreta erroneamente come maggiore ricchezza e maggior benessere del Paese.

In particolare, siccome il PIL non consente di misurare correttamente il reddito sostenibile perché non tiene conto dell’esaurimento del capitale naturale, nel medio lungo termine ciò comporta gravi conseguenze all’economia di un Paese.

Di seguito si riportano alcuni esempi di attività economiche che, usando il PIL, vengono registrate nella contabilità nazionale ed internazionale, come un aumento del reddito (crescita del PIL) e quindi assimilate ad un aumento della ricchezza del Paese:
  1. la liquidazione (distruzione) delle risorse naturali non rinnovabili e l’esaurimento, per sovrasfruttamento, delle risorse naturali rinnovabili;
  2. il danneggiamento dei servizi ecosistemici che la natura provvede ad erogare, in modo del tutto gratuito; ad esempio:
  • la fascia di ozono che difende gli esseri viventi dai raggi UV,
  • i serbatoi naturali: aria, acqua e terra che, grazie all’azione dei microorganismi, riciclano i rifiuti ed assorbono le emissioni inquinanti
  • le chiome delle foreste che ossigenano e creano un microclima locale
  • gli insetti che impollinano le piante, ecc.
Secondo la teoria economica tradizionale, se detti servizi ecosistemici vengono danneggiati o gravemente degradati dall’attività economica umana, non ci si deve affatto preoccupare perché, grazie ai progressi della tecnologia, possono essere tranquillamente sostituiti da impianti tecnologici (è il criterio della sostenibilità debole, tanto fortemente propugnato dall’economia tradizionale, secondo il quale il capitale naturale ed il capitale artificiale sono perfettamente sostituibili l’uno con l’altro). Naturalmente il rimpiazzo del capitale naturale danneggiato comporta dei costi per l’acquisto, la manutenzione e l’aggiornamento degli impianti tecnologici; spese che vanno ad aumentare il PIL e che pertanto figurano, nella contabilità nazionale, come maggior reddito e quindi come maggiore benessere e ricchezza del Paese.


Prati con insetti impollinatori

L’uso del PIL ci esorta a distruggere il capitale naturale perché diventa crescita del reddito e quindi aumento della ricchezza del Paese. Evidentemente, per l’economia tradizionale sembra che sia preferibile abitare in un mondo completamente artificiale, dove la natura sia stata completamente distrutta e sostituita dall’ingegno e dall’operosità umana. Un mondo tutto contraffatto dove ogni uomo gode di un elevato reddito ma senza più alcun albero, animale o panorama naturale che possa allietare il suo spirito.  Dobbiamo essere consapevoli che l’uso del PIL nella contabilità di un Paese ci fornisce una prospettiva ingannevole oltre che erronea dato che non ci consente di capire se il Paese sta effettivamente vivendo di reddito e quindi si sta arricchendo oppure sta vivendo di liquidazione del suo capitale naturale e quindi si sta impoverendo.


L’esempio dell’agricoltura intensiva

Un esempio di distruzione del capitale naturale è quello che si verifica con l’agricoltura intensiva. Qui, la risorsa naturale è lo strato fertile (l’humus) del terreno agricolo. In un primo momento i contadini sono soddisfatti perché registrano un abbondante raccolto ed un entusiasmante aumento del loro reddito (il PIL cresce) e questo li porta ad intensificare la loro attività. Nel tempo, però, si verifica uno sfruttamento eccessivo del terreno; il tasso di consumo dell’humus supera il tasso della sua naturale rigenerazione biologica e la risorsa naturale viene ad essere intaccata e va progressivamente  ad esaurirsi. A questo punto, gli agricoltori iniziano a rendersi conto che la loro produttività sta diminuendo (il PIL cresce ancora, ma sempre più lentamente). Tuttavia, essendo guidati dal PIL, che non tiene conto del capitale naturale, essi sono tratti in inganno e non capiscono che ciò si verifica a causa del progressivo esaurimento dello strato di humus. D’altra parte, neppure il PIN diminuisce perchè l’indice non contempla la perdita dovuta alla progressiva distruzione del capitale naturale e la conseguente perdita di capacità produttiva. Così, i contadini reagiscono intensificando ulteriormente la loro attività, ma il risultato che ottengono è quello di anticipare la distruzione dello strato fertile del loro terreno ed il fallimento della loro attività produttiva.


Il PIL guida l’economia verso le tragedie sociali

Di seguito, si riportano alcuni esempi di attività dove operatori economici individuali traggono beneficio dallo sfruttamento di una risorsa naturale comune, registrando, in un primo tempo, un aumento del loro reddito (crescita del PIL), che ottengono tramite uno sfruttamento insostenibile del capitale naturale, che viene inesorabilmente distrutto. Il fatto che la distruzione della risorsa naturale venga ignorata nella contabilità, impedisce la gestione del classico conflitto tra gli interessi individuali e l’interesse della comunità che, alla fine, rende insostenibile l’attività economica e porta a vere e proprie tragedie sociali.

L’esempio di un pascolo a libero accesso

Un classico esempio di tragedia delle risorse comuni è quella di un pascolo, a libero accesso, dove ogni allevatore può portare liberamente il suo bestiame a pascolare. In tali condizioni è interesse di ogni mandriano portare quanti più capi possibili a brucare l’erba. Infatti, il beneficio che ogni allevatore trae dalla sua attività è direttamente proporzionale al numero di capi di bestiame che porta a pascolare mentre i costi che deve sostenere sono minimi perché vengono suddivisi tra tutti gli allevatori. In un primo tempo, l’attività di ogni singolo mandriano procede alla grande e il suo reddito è un forte crescita (aumento del PIL). Tuttavia, non essendoci regole, ben presto, gli allevatori sperimentano la cosiddetta tragedia delle risorse comuni. A causa dell’eccessivo numero di bovini portati al pascolo, la risorsa comune: l’erba (il capitale naturale), viene consumata ad un tasso superiore a quello della sua naturale rigenerazione biologica e, di conseguenza, viene sovra sfruttata e inizia progressivamente ad esaurirsi. Nel tempo, il reddito di ogni mandriano, che prima era in crescita esponenziale, subisce una flessione, quindi raggiunge un picco e poi decresce velocemente fino ad azzerarsi, portando al fallimento l’intera comunità di mandriani.


La tragedia si compie perché gli allevatori misurano il reddito della loro attività mediante il PIL e ne ricavano una lettura distorta della realtà. Essi non si accorgono che il capitale naturale viene progressivamente intaccato (il PIL non considera il capitale naturale e quindi non registra la sua progressiva distruzione e la conseguente diminuzione di capacità produttiva). I mandriani continuano a vedere che il loro reddito aumenta (il PIL cresce) anche se si accorgono che la crescita diventa sempre più lenta. In realtà, essi notano che la loro produttività sta diminuendo ma l’uso del PIL impedisce loro di capire che il fenomeno si verifica a causa della minore capacità produttiva della risorsa comune. Così reagiscono intensificando ulteriormente lo sfruttamento del pascolo, con il risultato di peggiorare la situazione e di anticipare la tragedia che incombe su di loro: il fallimento di tutte le loro attività.  

L’esempio dell’attività alieutica in un’area oceanica extraterritoriale

Un altro esempio di tragedia delle risorse comuni è quella dell’attività di pesca esercitata da un gruppo di aziende di pescatori che intendono sfruttare in comune un’area di pesca. In questo caso, la risorsa comune è la riserva di pesce che, in assenza di regole, viene sfruttata oltre il reddito sostenibile. In un primo tempo, i singoli pescatori notano che il loro reddito è in forte crescita (il PIL cresce) e, presi dalla frenesia, intensificano sempre di più la loro attività individuale. Ben presto, però, pescando ad un tasso di prelievo del pesce superiore a quello della sua naturale rigenerazione biologica, la comunità di pescatori intacca la riserva (il capitale naturale) che va progressivamente esaurendosi. A questo punto i pescatori si rendono conto che la loro produttività sta diminuendo ma, guidati dal PIL, non capiscono che ciò si verifica a causa dell’esaurimento del capitale naturale. Così, la loro reazione naturale è di intensificare ulteriormente la loro attività con il risultato di anticipare la distruzione della risorsa comune ed il fallimento di tutte le loro attività.

In tutti gli esempi, gli operatori economici non si accorgono in tempo della tragedia che incombe su di loro perché si orientano solo in base al PIL che, nel frattempo continua ad aumentare. D’altra parte neppure il PIN si riduce perchè non registra la progressiva distruzione del capitale naturale e la continua perdita di capacità produttiva.



Il PIL impedisce il giusto sviluppo economico dei Paesi del Sud del mondo

Il problema della liquidazione (distruzione) delle risorse naturali non rinnovabili e dell’esaurimento delle risorse naturali rinnovabili, che vengono sovra sfruttate a causa di un tasso di prelievo superiore a quello della sua rigenerazione, riguarda soprattutto i Paesi del Sud del mondo che sono ancora relativamente ricchi di risorse naturali e che pensano di potersi sviluppare commerciando con i Paesi ricchi del Nord del mondo.


Sfruttamento dei minatori nelle miniere d’oro in Ghana

I Paesi del Sud del mondo, nella speranza di potersi sviluppare e uscire dalle condizioni di diffusa povertà in cui versano, hanno ritenuto necessario impegnarsi a fondo in relazioni commerciali con i Paesi ricchi dell’occidente. Tuttavia, come evidenziato dalla “Teoria della dipendenza”, che è molto critica nei confronti dell’economia tradizionale sul modo di contabilizzare gli scambi commerciali internazionali, dette relazioni mercantili avvengono sulla base di uno “scambio disuguale” che pone i Paesi poveri in condizioni di dipendenza economica, impedendone lo sviluppo.

I Paesi poveri, che anelano a raggiungere condizioni di benessere, non esitano ad esportare, in crescente quantità, le loro risorse naturali verso i Paesi ricchi del Nord del mondo, senza rendersi conto che stanno rapidamente distruggendo l’unica vera ricchezza che possiedono. Lo fanno senza la minima preoccupazione perché, plagiati dallo stile di vita occidentale e illusi dalla contabilità del PIL, il loro unico obiettivo è quello di accumulare reddito (far crescere il PIL procapite) per diventare ricchi e raggiungere il benessere. In realtà, quei popoli non si accorgono di essere quotidianamente depredati, in modo irresponsabile ed insostenibile, delle loro risorse naturali. Un saccheggio che, spesso, viene effettuato anche grazie alla complicità dei loro governi che, non di rado, sono corrotti e sostenuti al potere dagli stessi Paesi partner commerciali.

Dato che il PIL non considera il deprezzamento del capitale naturale, i Paesi del Sud del mondo registrano solo il beneficio derivante dalla vendita delle risorse naturali, che si traduce in un reddito crescente (un PIL in aumento a doppia cifra) e pensano che la loro economia stia andando a gonfie vele e che tutti si stiano arricchendo. Purtroppo però è solo un’illusione perché quei Paesi  non stanno vivendo di reddito ma della crescente distruzione delle loro materie prime. Avendo adottato una contabilità internazionale basata sul PIL, essi commettono il grosso errore di non considerare il costo della perdita del capitale naturale rinnovabile e non rinnovabile, che stanno rapidamente distruggendo.

Usando il PIL, i Paesi poveri del Sud del mondo non ricevono alcun segnale di allarme e proseguono imperterriti a distruggere il loro capitale naturale fino a quando, in un vicino futuro, si sarà ridotto a zero e, con esso, anche il loro “reddito”, provocando il loro collasso economico.

Ogni anno, dai Paesi del Sud del mondo viene esportata una crescente quantità di materie prime, che va ad alimentare la continua crescita materiale dell’economia dei Paesi ricchi dell’occidente ed il loro irresponsabile stile di vita consumistico. La continua distruzione di capitale naturale che ne deriva sta impoverendo irreversibilmente i Paesi del Sud del mondo che, depredati anche delle loro risorse naturali, non potranno mai raggiungere il livello di sviluppo dei Paesi occidentali e saranno condannati alla più assoluta povertà.

In conclusione, i Paesi del Sud del mondo,  avendo accettato una contabilità internazionale basata sul PIL, per regolare gli scambi commerciali, stanno attualmente registrando un risultato economico del tutto illusorio e stanno vivendo un sogno di prosperità che, ben presto, si rivelerà devastante.


Condizioni di scambio disuguale

Dato che i Paesi in via di sviluppo desiderano raggiungere il livello di benessere occidentale, sono disposti a scambiare le loro materie prime con i prodotti finiti industriali che importano dai Paesi avanzati dell’occidente; prodotti dei quali sono divenuti dipendenti, dato che non li possono produrre in proprio in quanto non dispongono delle necessarie tecnologie.

Per aumentare il reddito, i Paesi in via di sviluppo cercano di esportare grandi quantità di risorse naturali ma questo comporta un eccesso di offerta sui mercati e, di conseguenza, una riduzione dei prezzi delle materie prime. Di conseguenza, per mantenere il reddito, i cosiddetti Paesi poveri sono costretti ad esportare quantità crescenti di materie prime, a prezzi sempre più bassi.

A causa delle relazioni commerciali di dipendenza tra i Paesi del Sud del mondo e i Paesi avanzati, il commercio internazionale comporta uno “scambio disuguale” che è profondamente ingiusto perchè porta al deterioramento della relazione di scambio, alla compressione dei salari nei Paesi del Sud del mondo e ad una bilancia commerciale in costante deficit.
  • Deterioramento della relazione di scambio. Il rapporto di scambio commerciale si deteriora progressivamente perché quantità sempre crescenti di capitale naturale e di ore di lavoro mal pagate, dei Paesi poveri, vengono scambiate con una stessa quantità di capitale artificiale e poche ore di lavoro ben retribuito, dei Paesi ricchi.
  • Il basso livello dei salari nei Paesi poveri. Il degrado della relazione di scambio e la bassa elasticità della domanda delle risorse naturali costringe i Paesi poveri ad una sempre più massiccia esportazione delle loro materie prime, a prezzi contenuti, resi possibili da politiche di compressione dei salari reali.
  • Una bilancia commerciale in costante deficit. A causa del deterioramento della relazione di scambio, nonostante l’esportazione del capitale naturale che è scarso e quindi prezioso, i Paesi del Sud del mondo sono costretti ad esportare a prezzi così bassi che si devono persino indebitare in valuta estera per finanziare le importazioni dei prodotti finiti, ben più cari, dei quali hanno bisogno.
  • Ingannevoli promesse di un facile arricchimento con il commercio internazionale. Il Paese povero viene convinto ad effettuare investimenti e ad indebitarsi in valuta estera, per specializzarsi nella produzione ed esportazione di prodotti finiti a maggior valore aggiunto. Così quel Paese viene intrappolato in una spirale di indebitamento in valuta estera, che lo sfrutta all’osso, senza alcuna possibilità di riscatto.
Sono tutti motivi, questi, che condannano i Paesi del Sud del mondo ad un perenne sottosviluppo.


Africa, lavoro minorile e sottopagato nelle miniere di cobalto 
(metallo essenziale delle batterie moderne)

(continua)       (torna indietro)

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