LE CRITICITA' DEL PIL – Parte 4 (perché il PIL è un pessimo indicatore di prosperità)


Prosegue la discussione di approfondimento sulle principali critiche mosse nei confronti del PIL allo scopo di fornire un contributo di chiarezza, fare luce sui suoi numerosi lati oscuri, tenuti nascosti dall’economia tradizionale, e ridimensionare l’esagerato ruolo che oggi il PIL ricopre nella contabilità nazionale ed internazionale degli Stati. E’ fondamentale che il cittadino elettore si renda conto che il PIL è solo un indicatore sintetico quantitativo, espresso in una dimensione valoriale, simbolica, monetaria (in pratica, è un numero) e non può misurare in modo serio ed adeguato le prestazioni di un sistema tanto complesso come lo è l’economia di un Paese. E’ assolutamente necessario affiancare o, meglio ancora, sostituire il PIL con un insieme di indicatori, biofisici, qualitativi, più complessi, capaci di valutare in modo appropriato il livello di benessere e guidare l’economia del Paese verso uno sviluppo sostenibile.


5.      IL PIL NON MISURA CORRETTAMENTE IL REDDITO SOSTENIBILE (IL VERO POTERE D’ACQUISTO)

Il reddito sostenibile

Si definisce reddito sostenibile (reddito hicksiano):

“Il massimo reddito che un Paese può continuare a consumare, tutti gli anni, mantenendo sempre intatto il capitale che lo produce”.

In altre parole, il reddito sostenibile è la massima quantità di risorse biofisiche (transflusso) che l’economia di un Paese può consumare indefinitamente, sapendo che, alla fine di ogni periodo contabile (anno), quella nazione è ancora in possesso dell’intero capitale originario, che le consente di produrre nuovamente lo stesso reddito anche l’anno successivo e tutti gli anni a venire; quindi in modo sostenibile, duraturo nel tempo.

Il reddito sostenibile non è un concetto teoricamente definibile in modo rigoroso; piuttosto, è un’indicazione pratica per adottare un comportamento di consumo prudente delle risorse, per evitare che un Paese assuma uno stile di vita prodigo e si impoverisca. La conoscenza del reddito sostenibile serve da guida per indirizzare una nazione a svilupparsi sulla base di un’economia di stato stazionario che consuma le risorse naturali solo nei limiti del reddito da capitale, assicurando così al Paese una prosperità duratura nel tempo.

Come più volte sottolineato, il PIL (Prodotto Interno Lordo), che è praticamente l’unico indicatore impiegato nella contabilità nazionale ed internazionale o almeno quello più importante sul quale ci si basa per progettare ed attuare le politiche economiche, non misura in modo corretto il reddito aggregato sostenibile (reddito hicksiano). Se un Paese consumasse l’intero PIL non potrebbe sostenere indefinitamente il reddito e si impoverirebbe anno dopo anno, perchè:
  • esaurirebbe il capitale naturale rinnovabile (terreni fertili, foreste, riserve di acqua dolce, banchi di pesci, biodiversità, ecc.), i servizi ecosistemici (assorbimento e rigenerazione dei rifiuti, depurazione degli inquinanti, impollinazione, ecc.), senza contare la liquidazione del capitale naturale non rinnovabile (minerali utili, combustibili fossili, ecc.).
  • non avrebbe le risorse per reintegrare e mantenere il capitale artificiale (macchinari, infrastrutture, ecc.) che, nel tempo,  si degrada e diventa obsoleto
  • non avrebbe le risorse per affrontare le spese difensive (i costi da sostenere per evitare o per risolvere le esternalità negative prodotte dall’attività economica).

Il punto di vista dell’economia tradizionale

Accanto al PIL, la contabilità tradizionale prevede anche l’uso del PIN (Prodotto Interno Netto), anch’esso un indicatore macroeconomico monetario sintetico quantitativo, che misura il reddito che un Paese può interamente consumare in modo sostenibile (senza impoverirsi). Il PIN si ottiene dal PIL sottraendo l’ammortamento del capitale artificiale (AMCA):
PIN = PIL –  AMCA

Anche il PIN non si sottrae alle critiche da parte dell’economia ecologica. Sebbene sia difficile da credere, la teoria economica tradizionale non considera, tra i fattori di produzione, il capitale naturale (le materie prime, l’energia e i servizi ecosistemici).


Occorre sapere che la scienza economica tratta della migliore gestione delle sole risorse scarse. Ai tempi della fondazione della teoria economica classica (fine ‘700) era giustificabile l’idea che il capitale naturale venisse ignorato dalla scienza economica in quanto era una risorsa abbondante mentre invece allora era il capitale artificiale (prodotto dall’uomo) ad essere una risorsa scarsa.

Oggi è in atto una rapida distruzione del capitale naturale, sia perchè stiamo liquidando in modo scriteriato le risorse naturali non rinnovabili sia perché, a causa del loro eccessivo sovrasfruttamento, stiamo esaurendo anche le risorse naturali rinnovabili e i servizi ecosistemici.

Ci troviamo quindi in una situazione completamente ribaltata; viviamo in un mondo pieno di capitale artificiale, dove il capitale naturale sta diventando sempre più scarso, ragion per cui occorre tenerne conto nelle analisi economiche.

Il punto di vista dell’economia ecologica

Secondo l’economia ecologica, il corretto indicatore del massimo reddito disponibile al consumo (reddito hicksiano), quello che consente ad un Paese di adottare politiche economiche prudenti e sostenibili, è il PINSS (Prodotto Interno Netto Socialmente Sostenibile) che si ottiene dal PIL sottraendo le spese difensive (SD) e gli ammortamenti sia del capitale artificiale (AMCA) che del capitale naturale (AMCN):

PINSS =  PIL –  SD  –  AMCA –  AMCN

Se un Paese ha adottato una politica economica che prevede di consumare solo una parte del massimo reddito sostenibile (PINSS), allora quel Paese ha scelto di far crescere il capitale nel tempo e quindi ha programmato un futuro prospero e ricco. Viceversa, se un Paese ha deciso di vivere al di sopra delle sue possibilità ed ha adottato una politica economica che, di anno in anno, consuma più del suo massimo reddito sostenibile, allora quel Paese ha preferito una politica economica di progressiva erosione del suo capitale e quindi ha programmato un futuro povero e infelice.

La teoria economica tradizionale ritiene che tutti gli obiettivi di politica economica si possano risolvere puntando unicamente sulla crescita materiale illimitata (misurata dal PIL), che considera l’unica soluzione a tutti i principali problemi socioeconomici del mondo perchè evita di dover ricorrere a politiche economiche specifiche, molto più impegnative da attuare. 

Viceversa, l’economia ecologica o economia dello stato stazionario, ritiene che ogni problema socioeconomico debba essere risolto con politiche economiche basate su principi etici fondamentali e progettate e attuate con strumenti specifici. Ecco, in estrema sintesi, i principi etici fondamentali.
  • Il Principio etico della scala sostenibile. Il nostro pianeta ha una capacità portante limitata e ciò comporta la necessità di fissare un limite alle dimensioni dell’economia globale; si tratta cioè di imporre un limite al prodotto del numero di persone per il consumo medio procapite.
  • Il principio etico della minima disuguaglianza dei redditi (principio di giustizia sociale). Le politiche economiche basate su questo principio mirano a fissare un limite minimo ed un limite massimo al reddito individuale.
  • Il principio etico dello sviluppo sostenibile. Le politiche economiche attuano il principio puntando a massimizzare gli anni–persona, ossia rendendo massimo il numero totale di persone che si possono sostenere, per un periodo di tempo illimitato (per tutte le generazioni), ad un livello di consumo di risorse procapite in grado di assicurare uno stile di vita sufficiente.


6.      IL PIL NON DISTINGUE TRA I BENEFICI  E  I COSTI DELLA CRESCITA ECONOMICA

Il PIL è un mero indicatore dell’attività economica e, come tale, non esprime alcun giudizio esplicito sull’essenza delle attività economiche considerate. Il PIL confonde la diversa natura delle risorse scambiate, non distingue tra i costi e benefici della crescita economica, non gli interessa che siano perdite oppure guadagni; di fatto, li omogeneizza tutti, li rende tutti equivalenti per poi esprimerli nella stessa dimensione simbolica monetaria. L’errore sta proprio nel voler ridurre tutti i parametri di un sistema socioeconomico, di estrema complessità, ad un’unica dimensione quantitativa monetaria, per poi sommarli banalmente e ottenere un rozzo indice sintetico, monetario: il PIL e pretendere, con quello, di misurare e regolare l’economia di un Paese.

Sin dalla scuola primaria i nostri maestri ci hanno insegnato che non si possono sommare o sottrarre valori che si riferiscono a concetti non omogenei (quante volte ci hanno ripetuto che non si possono sommare le mele alle pere). Ebbene, chi ha inventato il PIL ha pensato di raggirare questo fondamentale insegnamento; così, ha sommato i benefici con i costi, confidando nel fatto che, tanto, sono tutti espressi nella stessa unità di misura monetaria. 

Dato che il PIL non distingue tra i benefici e i costi della crescita economica, la contabilità nazionale ed internazionale è all’origine di diversi fraintendimenti e problemi. Di seguito, si riportano alcuni esempi di attività economiche che in realtà dovrebbero essere classificate come costi ma che, a causa della contabilità nazionale basata sul PIL, sono equiparate a reddito e pertanto appaiono come una forte crescita del PIL, dando così l’impressione che il Paese si stia arricchendo; quando invece sta andando incontro ad un impoverimento generale e un malessere sociale.

Di fatto, in un Paese, il PIL è tanto più in crescita quanto più quel Paese:
  • distrugge il proprio capitale naturale, esaurendo e liquidando immense quantità di risorse naturali e di servizi ecosistemici, esportando le sue materie prime per importare beni e servizi;
  • si indebita, magari in valuta estera, per acquistare sempre più beni e servizi che importa dall’estero, per soddisfare la sua ansia consumistica o il desiderio di svilupparsi;
  • aumenta le spese difensive ossia quelle spese che sostiene per far fronte agli incidenti sul lavoro, ai problemi dell’inquinamento, agli incidenti del traffico, ai problemi di salute derivanti dal rumore, smog, tabagismo, alcolismo, droghe, ecc.;
  • affronta la ricostruzione in seguito a devastanti catastrofi naturali o a guerre.

Il PIL spinge l’economia verso una crescita antieconomica

Vi sono molte ragioni per credere che l’economia mondiale, con il suo PIL in continua crescita, abbia ormai superato il limite economico (punto B in fig. 1) e sia entrata nella regione della crescita antieconomica; la regione di progressivo impoverimento, che rende ancora più difficile affrontare e risolvere i problemi socioeconomici che affliggono l’umanità. Tra i principali, si ricordano:
  • la disoccupazione
  • il controllo dell’inflazione
  • l’ ingiusta distribuzione dei redditi e della ricchezza, fra le classi sociali
  • la sovrappopolazione
  • il degrado ambientale 


Fig. 1. Visione jevoniana dei limiti alla crescita della macroeconomia

Oggi l’economia tradizionale impone l’unica politica economica che si basa sulla perenne crescita biofisica dell’economia mondiale, che viene misurata e regolata da un unico indice macroeconomico : il PIL. Se riflettiamo un attimo ci rendiamo subito conto che adottare quest’unica politica economica non è affatto una grande idea, anzi è un comportamento imprudente e dannoso. Con il crescere delle dimensioni dell’economia (la crescita del PIL) oltre il limite economico o scala ottimale, si entra nella zona della crescita antieconomica dove, ad un incremento dei benefici marginali corrisponde un  maggiore incremento dei costi marginali. In tali condizioni si comprende come ogni ulteriore crescita del PIL, comporti un doppio risultato drammatico: rendere sempre più povera la società umana e inquinare sempre di più il pianeta.

Usare il PIL per misurare e guidare le economie dei Paesi è una strategia assolutamente inadatta, oltre che pericolosa, soprattutto in tempi di globalizzazione. Nella sua famosa metafora, il premio Nobel Joseph Stiglitz racconta di un autista che si trova a dover guidare un’automobile sul cui cruscotto c’è solo un contachilometri, come strumento di controllo. In quelle condizioni, l’autista potrebbe solo conoscere a quale velocità sta andando ma nient’altro. Ad esempio, non saprebbe quanta benzina gli rimane nel serbatoio, qual è il livello dell’olio e dell’acqua nel motore, se la batteria è carica. E’ una metafora che fa riflettere sulla situazione in cui versa l’intera economia mondiale al di là delle belle e confortanti parole dei rappresentanti politici, degli economisti tradizionali e dei media che amplificano e diffondono informazioni più o meno accurate, senza pensare che il loro dovere è anche quello di formare un’ opinione pubblica critica e consapevole e non solo di sommergere la gente di informazioni estemporanee, prive di collegamenti e spiegazioni, per il solo piacere di inquinare l’etere, oltre che le mente della gente.

Quello che c’è di fondamentalmente sbagliato nel modo in cui, oggi, in ambito macroeconomico, si utilizza il PIL è proprio il fatto che, pur essendo un grossolano indicatore di attività economica, esso viene magnificato ed elevato a niente di meno che principale strumento di progettazione politica. Il PIL viene utilizzato per misurare e regolare l’economia di un Paese, per classificare i Paesi in funzione delle loro prestazioni economiche, addirittura, per progettare e attuare politiche economiche e, peggio ancora,  per definire dei bizzarri e fantasiosi rapporti limite quali, ad esempio, il rapporto debito pubblico su PIL oppure deficit pubblico su PIL che poi vengono impiegati per irrogare sanzioni ai Paesi che non li rispettano. Per inciso, occorre rilevare che quegli strampalati rapporti non esprimono neppure idee di efficienza economica. Infatti sono rapporti tra concetti non omogenei e che solo, incidentalmente, sono adimensionali, perché sono espressi nella stessa dimensione monetaria. 

La crescita economica infinita come panacea di tutti i problemi socioeconomici

La classe dirigente è stata sedotta dalla crescita economica biofisica illimitata, il paradigma propugnato dalla teoria economica tradizionale, convinta che rappresenti l’unica soluzione per risolvere tutti i principali problemi socioeconomici del mondo, senza dover ricorrere a politiche economiche specifiche e, soprattutto, senza dover attuare una politica di equa ridistribuzione della ricchezza che, ovviamente, non le è affatto gradita.

Le elite hanno deciso di misurare le prestazioni delle economie di tutti i Paesi e dell’economia globale con il PIL che, sebbene sappiamo essere un indicatore dell’attività economica e non del benessere, è comunque l’ideale per promuovere e far accettare alla gente la crescita economica biofisica perenne. Noi tutti partecipiamo con passione al suo andamento nel tempo; ne siamo quasi condizionati, ci rallegriamo quando il PIL cresce e ci rattristiamo se cresce troppo poco o se ristagna oppure se ci segnala un’economia in recessione.

Se, invece del PIL, avessimo adottato altri indici, magari integrando quelli sintetici monetari con altri biofisici, più idonei a valutare il grado di prosperità di un Paese, ci saremmo accorti che, in tutto il mondo, il benessere economico reale era già in declino, a partire dagli inizi degli anni ’70.

La teoria economica tradizionale promuove la crescita economica biofisica illimitata (misurata dal PIL) perchè, a suo modo di vedere, presenta i seguenti vantaggi:
  • riduce la disoccupazione, perché stimola gli investimenti;
  • tiene sotto controllo l’inflazione, perché aumenta la produzione di beni reali;
  • risolve il problema di una più equa distribuzione dei redditi e della ricchezza fra le classi sociali (e quindi attenua il problema della povertà); in effetti, qui si vuol far passare l’idea peregrina che, più di ogni altra politica specifica, la crescita economica biofisica illimitata è quella che assicura una più giusta ridistribuzione dei redditi; in modo subdolo, si vuole convincere la gente che se si consente ai ricchi di diventare ancora più ricchi, la loro maggiore opulenza sarà di beneficio anche per i poveri (teoria dello sgocciolamento);
  • tiene sotto controllo il problema della sovrappopolazione, perché con l’aumento del reddito procapite, aumenta il livello di istruzione della gente e diminuisce il tasso di natalità;
  • risolve il problema del degrado ambientale perché, una società più è ricca e più ha a disposizione le risorse per risanare l’ambiente che ha precedentemente degradato.

Il pensiero economico tradizionale ritiene che attuare specifiche politiche di controllo demografico e di ridistribuzione del reddito e della ricchezza  sia molto più impegnativo e con esiti spesso incerti. Pensa anche che sia problematico aumentare la produttività delle risorse naturali ossia aumentare la loro efficienza d’uso (risparmio delle materie prime e risparmio energetico).
  
 
Teoria dello sgocciolamento

D’altra parte, questa punto di vista è convalidato dai dati dell’esperienza i quali dimostrano che, nei Paesi sviluppati, il conflitto di classe è stato notevolmente ridotto grazie ad una condizione di crescita economica biofisica continua, ottenuta con l’aumento della produttività dei fattori di produzione (lavoro umano e capitale artificiale) ma a spese di una bassa produttività delle risorse naturali (un elevato consumo di materie prime e di combustibili fossili).

In poco tempo, il nuovo assetto socioeconomico, fondato sulla crescita economica biofisica infinita, ha trasformato un mondo ricco di capitale naturale e povero di capitale artificiale, nel suo esatto opposto. Oggi ci ritroviamo in un mondo pieno di capitale artificiale ma con il capitale naturale e i suoi servizi ecosistemici, che sono un indispensabile supporto alla vita, sempre più rari. 

Finalmente, da qualche tempo, la gente inizia a parlare della necessità di preservare il capitale naturale, che inizia a mancare e che sta diventando il fattore limitante quello che, secondo la logica economica, deve essere economizzato.

(continua)       (torna indietro)


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