LE FALLACIE DELL’ECONOMIA TRADIZIONALE – Parte 2
Le principali fallacie, soprattutto
linguistiche (di ambiguità e di composizione), che interessano la teoria
economica tradizionale, neoclassica, derivano dall’ingenua visione preanalitica
che essa ha assunto al momento della sua fondazione (verso la fine dell’ 800) e
dall’aver adottato un approccio cognitivo alla realtà di tipo analitico,
lineare, riduzionistico, che poco si adatta ad una scienza sociale, complessa,
quale è l’economia.
LE PRINCIPALI FALLACIE DELLA REALTA’ FRAINTESA
Nel tempo, la disciplina
non ha aggiornato il proprio paradigma ed oggi ci ritroviamo con una teoria
economica dominante, che ha la responsabilità di guidare un’economia mondiale
oramai globalizzata, e che è avulsa dalla realtà. Disponiamo di una teoria
economica obsoleta, priva dei necessari strumenti intellettuali che le
permettono di comprendere ed affrontare i problemi socioeconomici di un mondo
sistemico e complesso. Abbiamo una teoria economica rinchiusa in una sua torre
d’avorio, i cui modelli sono incapaci di spiegare i dati dell’osservazione ed
hanno capacità predittiva praticamente nulla. Non è un’affermazione esagerata,
infatti basta ricordare che la teoria economica neoclassica, neoliberista, non
è mai riuscita a prevedere nemmeno una delle crisi che, negli ultimi decenni,
hanno ripetutamente martoriato l’economia
mondiale e non è neppure riuscita a prevedere, in tempo utile per
correre ai ripari, la più recente e la più importante di tutte le crisi
economiche: la Grande Recessione USA del 2007 – 2008.
E’ merito dell’economia
ecologica o economia del benessere, quello di aver messo in luce e aver criticato
in modo costruttivo, acuto e profondo, le fondamentali fallacie che affliggono
la teoria economica tradizionale.
L’economia ecologica, a
differenza dell’economia tradizionale, ha una visione complessa della realtà e adotta
un diverso approccio cognitivo: quello di sintesi, basato sul pensiero
sistemico, circolare e olistico. L’economia ecologica è la teoria economica con
le caratteristiche di una scienza interdisciplinare e post normale, che dispone
di tutti gli strumenti teorici necessari per comprendere e gestire la
complessità.
In questa seconda parte
si esaminano alcune importanti fallacie che sono alla base della teoria
economica tradizionale neoclassica e neoliberista, che derivano:
-
da
un’ingenua visione preanalitica, che osserva il complesso sistema socioeconomico
dall’unico piano di astrazione simbolico monetario e assume il modello del flusso circolare
illimitato del valore di scambio;
-
dall’inadeguatezza
delle funzioni di produzione, basate sul criterio di sostenibilità debole;
-
dall’aver
assunto, come unico obiettivo di politica economica, la crescita economica
biofisica illimitata, considerata la panacea di tutti i problemi socioeconomici.
ASPETTI
RELATIVI ALLO STUDIO DI UN SISTEMA COMPLESSO
Quando una stessa
realtà, sistema o problema complesso (entità complessa) viene osservata da
diversi punti di vista, effettuando proiezioni su più piani astratti, essa ci
appare ogni volta diversa. Ad esempio, ragionando
su un dato piano di astrazione, possiamo individuare i modelli descrittivi, le
proprietà e le leggi di comportamento che sono specifici di quel piano.
Quando poi decidiamo di osservare la stessa realtà complessa da un altro punto
di vista, effettuando una proiezione su un diverso piano di astrazione, dobbiamo stare molto
attenti perché quella stessa realtà complessa ci appare del tutto diversa.
Ragionando sul nuovo piano
di astrazione scopriamo modelli descrittivi, proprietà e leggi di comportamento
del tutto diversi e specifici di quel livello di astrazione. Insomma, ogni
volta che proiettiamo su un diverso piano di astrazione ci apparire una diversa
rappresentazione della stessa realtà complessa, una nuova effigie astratta che mostra caratteristiche e
comportamenti che le sono peculiari.
La figura, qui sopra, semplice
ed essenziale, è una metafora che si propone di rendere intuitiva la differenza
dei modelli descrittivi e delle leggi di comportamento delle diverse proiezioni
di una stessa realtà complessa sui vari piani di astrazione. Nella figura, il
cilindro rappresenta l’entità o realtà complessa, il cerchio è la sua proiezione sul piano di astrazione
YZ mentre il rettangolo è la sua proiezione sul piano di astrazione XZ.
Come si nota, la stessa
realtà complessa appare diversa quando viene proiettata sui diversi piani di
astrazione e, corrispondentemente, le sue proiezioni presentano proprietà e
obbediscono a modelli e leggi di comportamento peculiari, del tutto diversi e
irriducibili da una proiezione all’altra. Si può ben intuire che il cerchio (la
rappresentazione della realtà complessa proiettata sul piano si astrazione YZ)
ha proprietà del tutto diverse da quelle del rettangolo (la rappresentazione della
realtà complessa proiettata sul piano si astrazione XZ).
La teoria economica
tradizionale cade nella fallacia
della realtà fraintesa perchè confonde i piani di astrazione dei tre obiettivi
di politica economica: la scala ottimale, l’ equa distribuzione dei redditi e
l’efficiente allocazione delle risorse, e pensa di poter applicare a tutti un
unico modello di comportamento, un unico
obiettivo di politica macroeconomica: la crescita biofisica illimitata, che
viene considerata il rimedio universale, la panacea, per ogni problema socioeconomico.
Viceversa, per l’economia
ecologica, due dei tre fondamentali obiettivi di politica socioeconomica: la
dimensione ottimale dell’economia (la scala) e l’equa distribuzione dei redditi
e della ricchezza, sono veri problemi di natura macroeconomica, sono obiettivi
da affrontare a livello di sistema socioeconomico inteso nella sua globalità
perchè riguardano la nostra esperienza di esseri sociali, di uomini che vivono
in una comunità.
Per quanto concerne il
terzo obiettivo, quello dell’efficiente allocazione delle risorse, che per
l’economia tradizionale
è l’obiettivo di principale importanza, quello che viene efficacemente risolto
dal sistema dei prezzi che operano nei mercati liberi, per l’economia ecologica è il meno importante;
anzi, non è neppure considerato un obiettivo di politica macroeconomica, bensì un
problema di natura microeconomica, che riguarda le transazioni economiche
monetarie tra i singoli agenti economici. Vale la pena di osservare che la
rilevante importanza che l’obiettivo dell’efficiente allocazione delle risorse
assume per la teoria economica tradizionale deriva dalla sua concezione ingenua,
lineare e riduzionistica dell’economia, che manca di una visione collettiva,
sociale e che riduce tutto a mere transazioni privatistiche.
A
causa della sua semplicistica visione preanalitica, la teoria economica
tradizionale, neoclassica e neoliberista, è afflitta da numerose “fallacie
della realtà fraintesa”. Di seguito, ne esamineremo le principali, quelle di maggiore
rilevanza.
1 ADOTTA IL
MODELLO UNIVERSALE DEL FLUSSO CIRCOLARE DEL VALORE DI SCAMBIO
1.a La visione pre–analitica della teoria
economica tradizionale
Secondo Joseph
Schumpeter, un grande economista austriaco del XX secolo, la “visione preanalitica”
(nel senso che precede ogni analisi) è l’atto cognitivo originario, in base al
quale si costruisce il modello di una teoria, nel nostro caso, di una teoria
economica.
La “visione preanalitica”,
quella che Kuhn chiama il “paradigma”, è un’astrazione che precede la nascita
di una teoria scientifica e che racchiude tutti e soli gli aspetti che saranno oggetto
di studio da parte della teoria stessa; così che ogni altro aspetto sarà
escluso. Ovviamente, la visione pre–analitica della teoria può essere modificata
in un qualsiasi momento successivo, quando nuove idee insegnano a vedere le
cose sotto una nuova luce (il concetto di falsificazione di Popper o di
cambiamento di paradigma di Kuhn).
L’economia
tradizionale ignora l’ambiente
La teoria economica tradizionale, neoclassica, nella sua visione preanalitica ragiona esclusivamente su un piano di astrazione, simbolico, monetario e postula l’esistenza di un flusso circolare perpetuo del valore di scambio tra famiglie ed imprese.
La teoria economica tradizionale, neoclassica, nella sua visione preanalitica ragiona esclusivamente su un piano di astrazione, simbolico, monetario e postula l’esistenza di un flusso circolare perpetuo del valore di scambio tra famiglie ed imprese.
Nella sua “visione preanalitica”,
la teoria economica tradizionale (neoclassica) ignora l’interazione dell’economia
umana con il suo ambiente biofisico (l’ecosistema globale) e osserva il sistema
economico proiettandolo unicamente sul piano di astrazione del valore di
scambio monetario (piano simbolico).
Abbiamo già visto che nel modello economico tradizionale, neoclassico:
il sistema economico è un sistema
isolato dove un flusso di valore di scambio circola all’infinito, lungo un
percorso chiuso, tra le famiglie e le imprese.
La fallacia consiste
nell’assumere che lo stesso modello del flusso circolare con crescita
illimitata del valore di scambio, valido sul piano astratto del valore
monetario, si possa anche estendere sul piano astratto biofisico, per spiegare
la circolazione del flusso di materia e di energia (il transflusso) che il
sistema economico scambia con il suo ambiente (ecosistema).
Questo
è il motivo per cui, come confermato dall’evidenza sperimentale, nell’attuale
paradigma socioeconomico, dominato dalla teoria economica tradizionale, l’umanità
non è in grado di risolvere i problemi dell’ esaurimento delle risorse naturali
e dell’inquinamento, che si stanno aggravando sempre di più.
La visione preanalitica neoclassica
del sistema economico non prevede alcuno scambio di materia e di energia tra il
sistema socioeconomico e il suo ambiente perché ciò che circola non sono beni biofisici,
prodotti e consumati, ma il loro astratto valore di scambio. In altri termini,
la teoria economica tradizionale, nella sua visione preanalitica, ignora la
proiezione sul piano di astrazione biofisico, dove il comportamento del sistema
socioeconomico è regolato dalle leggi della termodinamica, che sono del tutto indipendenti
e irriducibili da quelle finanziarie.
La teoria economica
tradizionale cade nella fallacia della
realtà fraintesa perché pretende di applicare, anche sul piano di
astrazione biofisico, le stesse leggi finanziarie valide sul piano di
astrazione del valore finanziario (monetario).
Si è già detto che, per
il secondo principio della termodinamica, in un processo economico è
impossibile riciclare totalmente l’energia, perché viene immediatamente
degradata e non può venire riqualificata in termini netti; lo si può fare solo
con l’apporto di nuova energia di elevata qualità (a bassa entropia),
accettando però un incremento di entropia totale del sistema. La materia,
invece, può essere teoricamente riciclata all’infinito ma, in pratica, lo si può
fare solo poche volte, ed è doveroso farlo; comunque, il riciclaggio può
avvenire solo a spese di nuova energia a bassa entropia.
Quando, verso la fine
dell’800, è stata fondata la teoria economica tradizionale, neoclassica, il
sistema economico fu studiato da una prospettiva che contempla unicamente il piano
di astrazione (simbolico) del valore di scambio. A quel tempo, infatti, non
aveva alcun senso preoccuparsi dei problemi di interfaccia tra economia umana e
ambiente perché, allora, l’economia era ancora lontana dai limiti imposti
dall’ecosistema globale.
Solo ora, con l’ enorme
crescita dell’economia e con la globalizzazione degli ultimi decenni, assistiamo alle prime avvisaglie di
interferenza tra il sottosistema dell’economia umana e l’ecosistema globale e
iniziano a manifestarsi i limiti, in termini di: esaurimento delle risorse
naturali, inquinamento, degradazione dei servizi ecosistemici, ecc.
Agli inizi degli anni
’80, la ricerca in ambito economico ha dimostrato (Stiglitz, 1982):
-
che
i mercati finanziari sono incompleti in quanto gli strumenti finanziari derivati
non assicurano contro tutti i rischi
degli investitori ma semplicemente trasferiscono il rischio da un
investitore ad un altro
-
che
i mercati incompleti non sono efficienti nell’allocare le risorse di capitale e
di rischio.
Oggi, l’economia
finanziaria ha profondamente inquinato l’economia reale tanto da poter
affermare che tutti i mercati sono praticamente incompleti. Come conseguenza,
il concetto neoclassico di libero mercato, con il suo sistema dei prezzi in
grado di allocare in modo efficiente le risorse, considerato l’istituzione per eccellenza, è
rimasto solo un mito, senza più alcun riscontro nella realtà.
Con il capitale naturale
non rinnovabile che inizia a scarseggiare e con l’avvicinamento dell’economia
umana ai suoi limiti di sistema che non si possono studiare con l’approccio
analitico, lineare e riduzionistico, tutto l’impianto teorico dell’economia
tradizionale non regge più all’evidenza sperimentale e inizia a traballare.
A causa di tutto ciò, si
sarebbe dovuto modificare la visione preanalitica della teoria economica
tradizionale, per comprendere anche la dimensione biofisica. Meglio ancora, si
sarebbe dovuto passare ad un diverso paradigma socioeconomico, supportato da
una teoria economica più adeguata ai tempi,
come l’economia ecologica, basata sul paradigma di sintesi, sul pensiero
sistemico e dotata di una struttura matematica idonea a risolvere in modo
sistemico gli emergenti problemi di una realtà socioeconomica complessa.
Infatti, dalla prospettiva biofisica, il sistema socio economico appare come una
struttura complessa, dissipativa, lontana dall’equilibrio, e i relativi modelli
devono essere validati da un nuovo linguaggio formale: la teoria dinamica dei
sistemi, molto più adatto ad affrontare i temi della complessità.
Purtroppo si è deciso di
preservare la vecchia teoria economica tradizionale, neoclassica, con il suo
approccio analitico, lineare e riduzionistico, la sua struttura matematica
basata sulla teoria generale dell’equilibrio, i suoi concetti di libero
mercato, sistema dei prezzi ed efficiente allocazione delle risorse e il suo
modello del flusso circolare nel piano astratto del valore di scambio. Tutti
aspetti che, è bene sottolineare, in passato avevano assicurato tanta notorietà
e successo alla teoria ma che oggi, alla luce delle recenti ricerche
nell’ambito delle scienze economiche e di psicologia comportamentale non
reggono alle nuove evidenze sperimentali.
In pratica, per tener
conto dei problemi di esaurimento delle risorse e di inquinamento e rendere
compatibile la teoria con le evidenze sperimentali, è stato introdotto il
concetto di esternalità, una forzatura dall’esterno alla struttura teorica
originale e sono nate due nuove branche che derivano entrambe dalla teoria
economica tradizionale neoclassica: l’economia ambientale (nota anche come
green economy) e l’economia delle risorse naturali.
1.b La visione pre–analitica dell’economia
ecologica
Per
l’economia ecologica, quello socio economico è un sistema complesso che deve
essere osservato da diverse prospettive e in particolare sul piano astratto
biofisico, che è del tutto ignorato dalla teoria economica tradizionale. Su
quel piano si osserva l’esistenza di un flusso di energia e materia, trasversale
al processo economico, costituito dalle risorse naturali prelevate
dall’ambiente, dai beni prodotti e dai rifiuti rilasciati nell’ambiente.
E’ il
transflusso entropico; così chiamato perchè si muove lungo un percorso aperto
che parte dall’ambiente, dalle sorgenti di risorse naturali, a bassa entropia
(cioè utili all’economia umana), e va ad alimentare i processi produttivi i
quali, avvalendosi dei fattori di
produzione: lavoro umano (capitale vivo) e capitale artificiale (capitale
morto) producono i beni e servizi che rispondono ai bisogni umani. Dopo aver
attraversato il processo produttivo, il transflusso entropico, che ora è costituito
da materia e da energia ad alta entropia (non più utilizzabili dall’economia
umana), ritorna all’ambiente, sotto forma di rifiuti e di emissioni inquinanti.
Più tardi, al termine del loro ciclo di vita utile, anche i beni prodotti
verranno eliminati e andranno ad accumularsi nelle discariche ambientali, come
rifiuti.
Per l’economia
ecologica, l’efficiente allocazione delle risorse assicurata dai liberi mercati non è un problema
altrettanto importante. Anzi è solo l’ultimo obiettivo di politica economica,
che viene dopo quello della scala economica ottimale e quello dell’equa
distribuzione dei redditi.
2 UTILIZZA FUNZIONI DI PRODUZIONE INADEGUATE
Criteri
di sostenibilità debole e sostenibilità forte
Si premettono
innanzitutto le seguenti definizioni:
-
due
fattori sono tra loro complementari
quando la produttività dell’uno dipende dalla disponibilità dell’altro
-
due
fattori sono tra loro sostituibili
quando uno si può trasformare nell’altro anche totalmente.
-
il
capitale naturale è la
riserva (stock) che determina il flusso delle risorse naturali, sia rinnovabili
che non rinnovabili, che alimentano i processi produttivi (il transflusso
entropico)
-
il
capitale artificiale
(nella definizione estesa di Fisher) è la riserva (stock) sia dei beni capitali
che dei beni di consumo, prodotti dall’uomo
-
il
capitale artificiale e il lavoro umano sono i fattori produttivi, sono gli agenti (la causa
efficiente) che trasformano il transflusso di risorse naturali (la causa
materiale) in prodotti artificiali, ossia in beni e servizi che soddisfano i
bisogni umani.
La teoria economica
tradizionale ritiene che tra il capitale
naturale e il capitale artificiale esista una relazione di sostituibilità totale. La teoria adotta il criterio
della sostenibilità debole, secondo il quale è ammesso consumare il reddito
prodotto dal capitale artificiale e dal capitale naturale, potendo intaccare
l’uno o l’altro dei due capitali, purchè sia garantita la condizione che il
capitale totale, ossia la somma del capitale artificiale e dal capitale
naturale, mantenga il suo valore iniziale alla fine di ogni periodo di
riferimento (anno).
Il criterio operativo della
sostenibilità debole consente di superare il problema dell’esauribilità del
capitale naturale, il quale può essere totalmente consumato e trasformato in
capitale artificiale. Una volta ottenuto il capitale artificiale quest’ultimo potrà
essere riciclato ripetutamente, sottoponendolo ad infinite trasformazioni, da
capitale artificiale a capitale artificiale, senza più la necessità di dover
attingere al capitale naturale. Qui si evince chiaramente come, per l’economia
tradizionale, sia auspicabile un mondo completamente artificiale e interamente
sotto il controllo dell’uomo.
L’economia ecologica, invece, adotta
il criterio della sostenibilità forte
secondo il quale, tra il capitale naturale e il capitale artificiale esiste una
relazione prevalentemente di complementarietà e, solo marginalmente, di
sostituibilità, quest’ultima limitata alla necessità di ridurre gli scarti nei
processi produttivi. Il criterio della sostenibilità forte ammette la
possibilità di consumare il reddito prodotto dal capitale artificiale e dal
capitale naturale, con la condizione che entrambi rimangano intatti alla fine
di ogni periodo oppure varino in proporzioni fisse. E’ il criterio operativo corretto
per attuare le politiche economiche che assicurano lo sviluppo economico
sostenibile, anche se all’inizio accetta, in via provvisoria, il criterio della
sostenibilità debole.
La
funzione di produzione aggregata
Nei più accreditati
manuali di macroeconomia tradizionale (neoclassica), la funzione di produzione
aggregata (Y) si trova espressa in funzione delle riserve di capitale
artificiale (K) e di lavoro umano (L): Y = f(K,L) . L’esempio tipico è la funzione
di produzione di Cobb–Douglas, ad elasticità di sostituzione costante (CES –
Constant Elasticity of Substitution), che si presenta come segue:
Y
= F(K,L) = A . Ka. L1–a
Come si vede, nella funzione
di produzione originale non vi è alcun riferimento ai flussi delle risorse
naturali e delle emissioni inquinanti. E’ inoltre importante osservare la struttura
matematica moltiplicativa della funzione, dove i fattori di produzione si
moltiplicano fra loro.
La
funzione di produzione modificata
Quando, con il crescere
delle dimensioni dell’economia, i problemi dell’inquinamento e dell’esaurimento
delle risorse non rinnovabili non potevano più essere ignorati, la teoria economica
tradizionale iniziò a valutare i
problemi di interfaccia tra l’economia umana e l’ambiente, e a prendere in
considerazione il transflusso biofisico che i due sistemi si scambiano. Decise
però di conservare l’ originaria struttura teorica e di limitarsi ad introdurre
un termine ad hoc, una correzione forzata dall’esterno, che non è derivabile
naturalmente dalla teoria e che, per l’appunto, prende il nome di “esternalità”.
In pratica, vennero modificate le funzioni di produzione (del tipo di Cobb–Douglas), che esprimono la
produzione in funzione dei fattori produttivi: lavoro umano e capitale
artificiale, introducendo anche il capitale naturale (risorse biofisiche,
minerali utili ed energia, soprattutto sotto forma di combustibili fossili), Tuttavia si decise di non alterare la loro fondamentale struttura matematica, di natura moltiplicativa.
Questo artificio ci indica che la teoria economica tradizionale non è ancora riuscita a cogliere, nella sua visione preanalitica, il vero ruolo che le risorse naturali svolgono
nell’economia. L'aver mantenuto la struttura matematica moltiplicativa delle funzioni di
produzione ribadisce la piena validità del concetto di completa sostituibilità del capitale naturale, il cui ruolo viene pertanto ritenuto solo marginale nella
produzione. Insomma, per la teoria economica tradizionale, l’esaurimento di una risorsa naturale (combustibili fossili o minerali utili) non è un fattore in grado di limitare la produzione
economica (Y), la quale può continuare a crescere all’infinito.
Di seguito viene riportata la funzione di
produzione di tipo Cobb–Douglas, modificata per tener conto anche del capitale
naturale (in questo caso dell’energia E, sotto forma di combustibili
fossili); è la funzione di produzione EACDPF
(Energy Augmented Cobb–Douglas Production Function) o variante di Solow e Stiglitz della funzione Cobb–Douglas:
Y
= F(E,K,L) = A . Ka . Lb
. Eg
Qui, la condizione dei rendimenti di scala costanti si esprime con il seguente
vincolo agli esponenti:
a + b + g
= 1 ; con: a
> 0 ; b > 0 ; g
> 0
Si nota come, anche nelle funzioni di produzione modificate EACDPF, che includono le risorse naturali, si mantiene invariata la forma matematica moltiplicativa delle tradizionali funzioni di
produzione (tipo Cobb–Douglas), ad indicare che anche per esse vale il concetto di completa
sostituibilità di un fattore con qualsiasi altro.
La teoria economica tradizionale confonde la causa efficiente con la causa materiale; tanto che una causa efficiente (il capitale artificiale) diventa un sostituto pressochè perfetto di una causa materiale (la risorsa naturale).
Curiosi aspetti delle tradizionali funzioni di produzione
La struttura moltiplicativa delle funzioni di produzione tradizionali è del tutto singolare: l’energia (E) (e, più in generale, il capitale naturale) compare come un fattore moltiplicativo, alla pari del lavoro umano e del capitale artificiale. L'erronea struttura matematica delle funzioni di produzione porta a confondere facilmente tra i diversi piani di astrazione del lavoro umano, del capitale artificiale e del capitale naturale, tanto da far credere che sia possibile ovviare ad un’eventuale scarsità di risorse naturali (capitale naturale) sostituendole con il capitale artificiale, come se fossero sostituti perfetti.
In sostanza, si ritiene possibile compensare la mancanza di un fattore produttivo con l’abbondanza di altri. In altre parole, secondo la teoria economica tradizionale, è sempre possibile assicurare una crescita esponenziale della produzione anche in caso di penuria di capitale naturale (causa materiale), ad esempio di combustibili fossili, a patto ovviamente di poter disporre in abbondanza di capitale artificiale e di lavoro umano (causa efficiente).
Questo assegna al
capitale naturale un ruolo del tutto marginale e non strettamente indispensabile
nel processo produttivo. Infatti, dalla forma moltiplicativa si evince la possibilità, anche riducendo E quasi fino a zero (è il caso di penuria di combustibili fossili e, più in
generale, di capitale naturale), di sostenere la produzione (Y) che può continuare a crescere illimitatamente.
Il “miracolo” è assicurato dalla fallacia della totale
sostituibilità tra capitale naturale e capitale artificiale (criterio di
sostenibilità debole) che consente di ovviare alla minore
disponibilità di energia (o di ogni altra risorsa naturale) con un maggiore aumento di capitale
artificiale K e/o di lavoro umano L.
Per meglio illustrare il concetto può essere utile il seguente esempio. In un certo momento, in un cantiere dove si sta costruendo un
complesso edilizio, ci si accorge che il cemento e il ferro iniziano a scarseggiare
e che inizia a mancare il gasolio per alimentare i gruppi elettrogeni che
producono energia elettrica. Nessuno, però, si preoccupa perché tutti sono convinti
di poter supplire a tali mancanze assumendo più muratori e acquistando più betoniere
e gru.
Conclusioni
Non possedendo il concetto di processo entropico gli economisti tradizionali ritengono che esista una perfetta reversibilità tra capitale naturale e capitale artificiale: come il capitale naturale si trasforma in capitale artificiale, così anche il capitale artificiale si trasforma in capitale naturale. Da qui il concetto di sostenibilità debole ossia di perfetta sostituibilità tra capitale naturale, capitale artificiale e lavoro umano (chiaro esempio di confusione tra i diversi piani di astrazione).
Conclusioni
Non possedendo il concetto di processo entropico gli economisti tradizionali ritengono che esista una perfetta reversibilità tra capitale naturale e capitale artificiale: come il capitale naturale si trasforma in capitale artificiale, così anche il capitale artificiale si trasforma in capitale naturale. Da qui il concetto di sostenibilità debole ossia di perfetta sostituibilità tra capitale naturale, capitale artificiale e lavoro umano (chiaro esempio di confusione tra i diversi piani di astrazione).
Il ritenere di poter risolvere
il problema dell’esaurimento delle risorse naturali, sostituendole con il
capitale artificiale, è la tipica fallacia della realtà fraintesa in cui cade la teoria economica tradizionale. E’ una
dimostrazione di quanto sia ingenuo il modello meccanicistico del flusso
circolare del valore di scambio e dell’errore
che si commette facilmente quando una teoria non dispone di idonei strumenti
per ragionare sul piano di astrazione biofisico, dove la dinamica comportamentale
è soggetta alle leggi della termodinamica.
Per l’economia ecologica,
una causa efficiente (il capitale
artificiale) non si può sostituire con una causa
materiale (la risorsa naturale) perché la loro è una relazione di complementarietà.
Non si può pensare di sopperire alla mancanza di risorse naturali impiegando
più capitale artificiale. Non si può confezionare un vestito se si ha una
quantità insufficiente di stoffa, anche se si dispone di molte macchine per
cucire. D’altra parte, non si deve nemmeno trascurare il fatto che, per produrre più capitale
artificiale, si deve disporre di più capitale naturale.
Miniera
di carbone a cielo aperto in Ucraina,
nella regione di Donetsk
3 CREDE NELLA CRESCITA
ECONOMICA BIOFISICA ILLIMITATA
UN
UNICO OBIETTIVO DI POLITICA MACROECONOMICA
La teoria economica
tradizionale ha un unico obiettivo di
politica macroeconomica: la crescita economica
biofisica illimitata che, a suo modo di vedere, è in grado di risolvere
ogni problema. In particolare:
·
riduce la disoccupazione, perché stimola gli investimenti;
·
tiene sotto controllo l’inflazione, perché aumenta la produzione di beni
reali;
·
rende più tollerabile il problema
dell’ ingiusta distribuzione dei redditi fra le classi sociali; il concetto deriva dall’idea che la crescita
biofisica illimitata sia capace, meglio di ogni altra politica economica, di risolvere
il problema di una più equa distribuzione dei redditi. La tesi fallace
sostenuta dell' elite è che se i ricchi diventassero ancora più ricchi, investirebbero
saggiamente le loro faraoniche fortune, creando ulteriore ricchezza della quale l’intera
società potrebbe beneficiarne, compresa anche la classe meno abbiente. E’ una
gigantesca fallacia che va sotto il nome di teoria dello sgocciolamento. La
scienza economica ha ripetutamente dimostrato, già a partire dagli anni ’80, che
a causa della incompletezza dei mercati finanziari, i ricchi non riusciranno
mai ad allocare le loro enormi ricchezze nel modo più efficiente per la
società, nel suo complesso;
·
tiene sotto controllo l’incremento
della popolazione;
questo perché, statisticamente è dimostrato che, all’aumentare del reddito
procapite, aumenta anche il livello di istruzione e diminuisce il tasso di
natalità;
·
risolve il problema del degrado
ambientale perché,
con la crescita economica, la società diventa più ricca ed ha a disposizione
più risorse per risanare l’ambiente.
IL
PUNTO DI VISTA DELL’ECONOMIA ECOLOGICA
Nella visione
dell’economia ecologica, i principali problemi di politica economica sono, in
ordine di importanza decrescente: la sostenibilità di scala (le dimensioni
dell’economia con riferimento al suo ambiente), l’equità distributiva e
l’efficienza allocativa.
Giova sottolineare che, per l'economia ecologica, il problema dell’efficiente allocazione delle risorse è all’ultimo posto e viene dopo il problema della scala e quello dell’equa distribuzione dei redditi e della ricchezza. Per l’economia tradizionale, invece, è il più importante problema di politica economica, che viene affrontato e risolto dal libero mercato e dal suo sistema dei prezzi (un’ istituzione introdotta dall’economia tradizionale, della quale è particolarmente orgogliosa),
Giova sottolineare che, per l'economia ecologica, il problema dell’efficiente allocazione delle risorse è all’ultimo posto e viene dopo il problema della scala e quello dell’equa distribuzione dei redditi e della ricchezza. Per l’economia tradizionale, invece, è il più importante problema di politica economica, che viene affrontato e risolto dal libero mercato e dal suo sistema dei prezzi (un’ istituzione introdotta dall’economia tradizionale, della quale è particolarmente orgogliosa),
Per l’economia
ecologica, i tre problemi di politica economica sono separati; sono definiti su tre diversi piani
di astrazione e ognuno deve essere ottimizzato in modo indipendente dagli
altri. In linea di principio, ogni ottimizzazione comporta una valutazione in
termini di analisi di costi e benefici, che si effettua uguagliando i costi
marginali crescenti con i benefici marginali decrescenti.
Come detto, i tre problemi
di politica economica sono definiti in tre spazi differenti, con costi e benefici tra loro
incommensurabili ed anche espressi in unità di misure diverse. Inoltre va considerato che ogni obiettivo di politica economica implica
un giudizio etico sulla qualità delle relazioni sociali. E' un problema che deve essere
affrontato a livello sociale, di collettività, e ciò introduce un altro aspetto di
incommensurabilità tra la dimensione sociale e la dimensione individuale. Si conclude pertanto che un’analisi di costi–benefici, eseguita
secondo i canoni dell’economia tradizionale, nello spazio della disponibilità a
pagare come singolo individuo, non è lo strumento corretto per ottimizzare i tre
obiettivi macroeconomici.
Per
l’economia ecologica, l’ingiusta distribuzione dei redditi è un segnale
indicativo dell’avvicinamento delle dimensioni dell’economia umana ai limiti
ecologici, con l’intensificarsi dei problemi dell’esaurimento
delle risorse naturali e dell’inquinamento, che sono responsabili dei
rendimenti di produzione decrescenti.
E’ bene ribadire ancora
una volta che per l’economia ecologica:
i tre obiettivi di politica economica
devono essere ottimizzati in modo indipendente, con tre diversi strumenti di
politica economica (criterio di Tinbergen) e, per ogni obiettivo, si deve
ricercare la soluzione ottimale, all’interno del suo spazio astratto, adottando
uno specifico criterio di ottimizzazione.
Ad esempio, non si
possono utilizzare i costi e i benefici individuati ragionando sul piano di astrazione dell’efficienza
allocativa e applicarli in ragionamenti eseguiti sul piano di astrazione dell’equità
distributiva oppure sul piano di astrazione della scala
sostenibile. E viceversa.
Ecco altri esempi di politiche
economiche che sono tipiche fallacie della realtà fraintesa.
3.a
La crescita economica illimitata risolve
il problema dell’equa distribuzione
Il fenomeno dell’ingiusta distribuzione dei redditi interessa interi Stati, dove sta aumentando la differenza di ricchezza tra i Paesi ricchi del nord del mondo e quelli poveri del sud del mondo, ma anche ogni Paese, dove sta crescendo il divario tra la fascia ricca della popolazione, sempre più ricca e sempre meno numerosa, e la fascia povera della popolazione, sempre più povera e sempre più numerosa.
La classe dirigente difende ad oltranza la crescita economica biofisica illimitata perché ritiene che sia l’unica politica economica capace di risolvere il problema dell’ ingiusta distribuzione dei redditi, senza dover ricorrere a specifiche politiche economiche ridistributive che, ovviamente, non sono gradite alle elite.
Di fatto, si
vuol far passare l’idea che la crescita economica biofisica illimitata sia la
migliore politica, quella in grado di assicurare una più equa ridistribuzione
dei redditi. E’ una grossa fallacia; è un modo subdolo di convincere la gente che, permettendo ai ricchi di diventare ancora
più ricchi, la loro maggiore opulenza sarebbe di beneficio per tutta la
società e, quindi, anche per i poveri. I ricchi, spinti dal loro interesse
personale, investirebbero in modo saggio le loro enormi fortune, creando ulteriore ricchezza che
andrebbe a ricadere sull’intera società; tutti ne beneficerebbero, compresa la
classe dei meno abbienti (teoria dello sgocciolamento). Una tesi veramente
abietta e una fallacia sesquipedale.
Teoria
dello sgocciolamento
Nei Paesi sviluppati,
le statistiche mostrano che l’innovazione tecnologica ha effettivamente aumentato la produttività dei fattori di produzione e ridotto l’impiego di lavoro
umano, a parità di produzione. Tuttavia, la crescita economica illimitata ne ha
neutralizzato l’effetto ed ha permesso di limitare il conflitto di classe ed anche
di migliorare l’equità
distributiva. Il risultato, però, è stato ottenuto a spese di una ridotta produttività delle risorse
naturali ossia di un maggior consumo di capitale naturale: minerali utili e
combustibili fossili non rinnovabili e un aumento dell’inquinamento del pianeta.
Ovviamente
si sarebbe anche potuto adottare un’altra strategia di crescita, quella di
incrementare la produttività delle risorse
naturali, aumentando la loro efficienza d’uso (risparmio delle materie prime e
risparmio energetico); questo però avrebbe funzionato solo in un primo momento,
fino a quando il minor consumo di capitale naturale non fosse entrato in
conflitto con la crescente produttività dei fattori di produzione, determinando
ben presto una minore necessità di capitale artificiale e, soprattutto, di
lavoro umano.
Il pensiero economico
tradizionale cade nella fallacia della realtà fraintesa perchè pensa di risolvere il
problema dell’iniqua distribuzione dei redditi e della ricchezza senza
affrontare direttamente la questione sul piano di astrazione della
distribuzione ma ragionando sul diverso piano di astrazione della crescita
economica biofisica, illimitata. Così facendo, la teoria economica dominante rinuncia
ad un’economia dalle dimensioni sostenibili e rinuncia ad affrontare il problema sul suo
corretto piano di astrazione, che è quello della scala.
3.b La crescita economica illimitata risolve il
problema della sovrappopolazione mondiale
Il pensiero
economico tradizionale ritiene che attuare specifiche politiche di controllo
demografico, sia molto impegnativo e dall’esito incerto. Pensa pertanto che sia meglio puntare
alla crescita economica illimitata, rinunciando
ad un’economia dalle dimensioni ottimali e dunque sostenibili. Questo punto di
vista trae origine dal fatto che le statistiche mostrano che, all’aumentare del
reddito procapite, aumenta anche il livello di istruzione e diminuisce il tasso
di natalità.
Qui l’economia tradizionale cade
nella fallacia della realtà fraintesa perché
mira a risolvere il problema della sovrappopolazione mondiale senza affrontare
direttamente la questione sul piano di astrazione della sovrappopolazione ma
ragionando sul diverso piano di astrazione della crescita economica biofisica.
3.c L’efficiente
allocazione delle risorse risolve il problema dell’equità
distributiva
Il pensiero
economico tradizionale cade nella fallacia della realtà fraintesa perché ritiene di risolvere il problema dell’ iniqua distribuzione dei redditi e della ricchezza (un problema da affrontare sul piano di astrazione della
distribuzione) con una più efficiente allocazione delle risorse (un argomento da
affrontare sul diverso piano di astrazione dell’allocazione).
Invece
di predisporre una politica economica
indipendente, che richiederebbe un maggior impegno e avrebbe un esito incerto, la
teoria economica tradizionale ritiene che,
con un’idonea politica dei prezzi, sia possibile migliorare la distribuzione
della ricchezza. E’ una politica economica che ricorda un po’ quella medioevale
del “giusto prezzo”, sostenuta dagli economisti scolastici, perché cerca di
internalizzare, nei prezzi di mercato, i costi esterni dovuti ad un’ingiusta
distribuzione della ricchezza.
Oggi,
questa politica non è più accettata dalla maggioranza degli economisti
tradizionali i quali concordano nel ritenere di non poter raggiungere l’equità
distributiva con una mera politica dei prezzi e che l’equità distributiva e l’efficienza allocativa delle risorse siano due
obiettivi di politica economica da ottimizzare in modo indipendente l’uno
dall’altro.
Comunque,
la politica del “giusto prezzo” sopravvive ancora, sebbene in forma residuale,
nelle politiche del salario minimo e di quelle dei sussidi alla produzione
agricola e alla fornitura dei servizi energetici e di acqua.
3.d L’efficiente
allocazione intergenerazionale delle risorse risolve il problema della scala
ottimale
Gli
economisti tradizionali non pensano che esista il problema delle dimensioni (scala)
ottimali di un’economia perché pensano che siano i prezzi a determinate le
dimensioni dell’economia. Essi ritengono che il miglior modo di assicurare una
base ottimale di risorse per le future generazioni e quindi per risolvere il
problema della scala, sia quello di provvedere ad un’efficiente allocazione
intergenerazionale delle risorse. Ciò può essere fatto tramite un’analisi
costi–benefici, da eseguire dopo aver assegnato un adeguato tasso di sconto. Da
tale analisi scaturirebbe una corretta assegnazione dei prezzi, e poi sarebbe
il libero mercato, con il suo sistema dei prezzi, a stabilire la scala ottimale
dell’economia.
Il
ragionamento, che è di natura squisitamente neoclassica, ha però un punto
debole ed è il problema della valorizzazione monetaria dei costi – benefici
ambientali. Questi ultimi hanno soprattutto un valore d’uso e non uno di
scambio (di mercato) e ciò comporta tutta una serie di problemi relativi alla valorizzazione monetaria dell’ambiente.
Un
problema importante è il valore da assegnare al tasso di sconto
intergenerazionale per effettuare l’analisi costi–benefici. In una tale analisi
si confrontano i costi–benefici del presente con i costi–benefici del futuro,
dopo aver attualizzato questi ultimi con l’applicazione di un tasso di sconto. In pratica, aumentare il tasso di sconto
significa attribuire ai costi–benefici del futuro un valore progressivamente inferiore.
I prezzi vengono assegnati sulla base di una data distribuzione che, in questo
caso, è la distribuzione intergenerazionale delle risorse. Quest’ultima deve
essere nota per poter calcolare il tasso di sconto che, a sua volta, serve per determinare
la distribuzione delle risorse. Eccoci dunque in presenza di un ragionamento
circolare, vizioso.
Oggi, praticamente
tutti gli economisti tradizionali concordano sull’incapacità del mercato
di risolvere il problema dell’equa distribuzione dei redditi; l’impossibilità cioè di raggiungere l’equità distributiva con una mera politica dei prezzi. Però sono tutti convinti che il libero mercato sia in grado di risolvere il problema della
scala ottimale dell’economia, dopo aver assegnato in modo
indipendente un corretto sistema dei prezzi.
Qui la teoria economica
tradizionale cade nella
fallacia della realtà fraintesa perchè pensa di risolvere il problema
della scala ottimale ragionando sul diverso piano di astrazione dell’allocazione
efficiente delle risorse, rinunciando così ad affrontare direttamente la
questione sul suo corretto piano di astrazione, che è quello della scala.
3.e L’equa
distribuzione intergenerazionale delle risorse risolve il problema della scala
ottimale
Un’economia
dalle dimensioni insostenibili esaurisce il capitale naturale e degrada i
servizi ecosistemici, infliggendo elevati costi alle future generazioni, le
quali però non hanno la possibilità di influenzare le nostre decisioni. Per alcuni
economisti tradizionali, si tratta di un problema di equa distribuzione
intergenerazionale del reddito e della ricchezza e non di un problema di efficiente
allocazione intergenerazionale delle risorse.
Qui il pensiero economico tradizionale cade nella fallacia della realtà fraintesa perchè pensa di risolvere il problema della scala ottimale ragionando sul diverso piano di astrazione della distribuzione intergenerazionale, rinunciando così ad affrontare direttamente la questione sul suo corretto piano di astrazione, che è quello della scala.
Ancora una volta si ricorda che, per gli economisti ecologici, il problema della scala e quello della distribuzione sono due problemi di politica economica indipendenti, da ottimizzare separatamente. Pur ammettendo l’importanza di un’equa distribuzione intergenerazionale della ricchezza, per l’economia ecologica è ancora più importante assicurare, sin da subito, una scala ottimale per l’economia, che deve essere affrontata e risolta con una politica economica indipendente. Un’economia sostenibile garantisce alle future generazioni una più equa base di risorse naturali.
Qui il pensiero economico tradizionale cade nella fallacia della realtà fraintesa perchè pensa di risolvere il problema della scala ottimale ragionando sul diverso piano di astrazione della distribuzione intergenerazionale, rinunciando così ad affrontare direttamente la questione sul suo corretto piano di astrazione, che è quello della scala.
Ancora una volta si ricorda che, per gli economisti ecologici, il problema della scala e quello della distribuzione sono due problemi di politica economica indipendenti, da ottimizzare separatamente. Pur ammettendo l’importanza di un’equa distribuzione intergenerazionale della ricchezza, per l’economia ecologica è ancora più importante assicurare, sin da subito, una scala ottimale per l’economia, che deve essere affrontata e risolta con una politica economica indipendente. Un’economia sostenibile garantisce alle future generazioni una più equa base di risorse naturali.
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