LE ORIGINI BIBLICHE DELL’ECONOMIA ECOLOGICA - Parte 4


Prosegue lo studio del principio spirituale / religioso, riportato nelle sacre scritture, che riguarda il mandato di Dio che assegna all’uomo, Sua unica creatura personale, il compito di custodire e coltivare il Suo Creato. Questo principio spirituale / religioso ha ispirato il principio etico economico dellacura e rispetto della natura” che, ai nostri tempi, è stato tradotto nel concetto di “scala economica ottimale”: il più importante principio  etico dell’economia ecologica dello stato stazionario. Il principio, declinato nel contesto socioeconomico moderno, impone di attuare politiche economiche tali da non superare la scala ottimale dell’economia globale, allo scopo di assicurare uno stile di vita prosperoso alla presente e a tutte le generazioni a venire.

L’uomo coltiva e custodisce il giardino dell’ Eden (Gen. 2.15)

Molti si stanno risvegliando dall’illusione del consumismo e si stanno accorgendo che il paradigma socioeconomico oggi imperante non ha portato a tutti la tanto promessa prosperità. Anzi, sta liquidando, di gran carriera, le risorse non rinnovabili del pianeta, che iniziano a scarseggiare, e sta provocando un pesante inquinamento che interessa tutta la Terra. Inoltre, ha concentrato la ricchezza del mondo nelle mani di pochissimi superricchi, generando una sempre più iniqua distribuzione dei redditi e della ricchezza, che ha impoverito ampie fasce di popolazione e sta estinguendo il ceto sociale intermedio.



Le politiche economiche di attuazione del principio etico della scala economica ottimale

L’economica neoclassica tradizionale, oggi dominante, ha adottato come principio etico, quello di assicurare il massimo tenore di vita ad un numero limitato di persone della presente generazione (la elite economico finanziaria), e ritiene che il principale obiettivo di politica economica sia quello dell’efficiente allocazione delle risorse (un problema di microeconomia) e pone in secondo piano il problema dell’equa distribuzione dei redditi. Per di più, il problema della dimensione (scala) ottimale dell'economia non viene neppure preso in considerazione dato che, quando sono state poste le basi della teoria economica neoclassica, le dimensioni del sistema socioeconomico globale erano trascurabili rispetto a quelle dell’ecosistema (ambiente) e si era ancora molto lontani dai limiti imposti dall’ambiente. In quelle condizioni, la società poteva benissimo essere organizzata e guidata dall’unica politica economica della crescita biofisica illimitata. 

Purtroppo, ancora oggi, che siamo molto vicini ai limiti, la teoria economica tradizionale ritiene che la politica della crescita biofisica illimitata possa, da sola, affrontare e risolvere tutte le principali emergenze planetarie: i problemi della sovrappopolazione, dell'ingiusta redistribuzione dei redditi, della disoccupazione e del degrado ambientale, senza dover ricorrere a politiche specifiche, che sono di più difficile ed impegnativa attuazione e che, tra l'altro, non sono gradite all'elite.

Alcuni economisti ritengono addirittura di poter risolvere anche il problema di un' efficiente allocazione delle risorse, senza dover intervenire con apposite politiche di aggiustamento dei prezzi, finalizzate ad internalizzare i costi sociali e ambientali.

L’economia ecologica trova invece un formidabile fondamento nel principio etico moderno dello sviluppo sostenibile, che integra i valori di sufficienza, equità ed efficienza, e si impegna ad incorporarlo in concrete politiche economiche indipendenti, compatibili con l’attuale contesto socio economico politico e culturale. Ogni politica viene appositamente studiata ed applicata per risolvere uno specifico problema socioeconomico.

Per l’economia ecologica dello stato stazionario, il principale obiettivo di politica economica è quello di non superare la scala ottimale. Nella sua visione preanalitica, il sistema socioeconomico è un sottosistema del più ampio ecosistema terrestre, che lo contiene interamente e che non può espandersi perchè è limitato dalle dimensioni della superficie terrestre. La sua interfaccia con l'universo è aperta allo scambio di energia radiante ma non di materia. Con la progressiva espansione biofisica dell'economia umana, molto prima di raggiungere il limite biofisico, o limite del disastro ecologico, dove il costo marginale tende all'infinito, si raggiunge il limite economico ottimale, oltre il quale si entra nella zona della crescita antieconomica, dove i costi marginali della crescita superano i benefici marginali. Purtroppo oggi il sistema della contabilità nazionale (che si affida al PIL) non dispone di strumenti indicatori idonei per misurare separatamente i costi e i benefici della crescita e, di conseguenza, non possiamo sapere con certezza se le attuali dimensioni dell’economia globale hanno già superato il limite della scala ottimale. Molte evidenze empiriche, però, sembrano confermare che tale limite sia già stato superato in molti Paesi avanzati dell'occidente, sin dagli inizi del XXI secolo.

L'economia globale umana sta proseguendo la sua inarrestabile crescita biofisica e sta occupando uno spazio vitale sempre più ampio all’interno dell’ecosistema, al quale sottrae una crescente quantità di risorse naturali utili a soddisfare i bisogni dell'uomo (materia ed energia a bassa entropia). Il fatto deve destare grande preoccupazione perché, al crescere delle dimensioni dell'economia umana e con l'avvicinarsi dei limiti imposti dall'ambiente, i servizi ecosistemici, ben più preziosi delle merci scambiate, tenderanno sempre di più a degradarsi e a perdere di funzionalità.

Dato che l’ecosistema si evolve senza crescere materialmente, secondo la dinamica dello stato stazionario, per evitare drammatiche interferenze, anche il sottosistema socioeconomico deve cambiare la sua attuale dinamica di crescita esponenziale illimitata e passare alla dinamica dello stato stazionario, per poi coevolvere armoniosamente con il suo ambiente (l’ecosistema).

In un primo tempo, l’economia globale si potrà attestare ad una qualsiasi scala, purchè sostenibile, ossia inferiore a quella massima, che è funzione dalla capacità portante del pianeta. Poi, però, si dovrà raggiungere la scala ottimale, che è quella che massimizza gli anni–persona e che consente di rispettare il principio etico fondamentale dello sviluppo sostenibile.



La politica economica dei permessi negoziabili

Tra gli strumenti di politica economica in grado di attuare il principio etico dello sviluppo sostenibile, uno dei migliori è il sistema Cap–Auction–Trade (CAT), o meccanismo di mercato dei permessi negoziabili di sfruttamento delle risorse non rinnovabili o di inquinamento. 

Il meccanismo, che ha il pregio della trasparenza, prevede di conseguire i tre obiettivi economici, indipendenti: della scala sostenibile, dell’equa distribuzione e dell’efficiente allocazione, utilizzando tre strumenti appositamente pensati per conseguire altrettante politiche economiche indipendenti (secondo il criterio di Tinbergen).

I tre strumenti del sistema CAT sono:

1. Il tetto massimo (CAP), che attua la politica economica che definisce l’entità complessiva dei permessi di sfruttamento di una risorsa non rinnovabile o di inquinamento. La politica mira a raggiungere l’obiettivo della scala biofisica ottimale: la sufficienza; che è il primo principio della sostenibilità.
2.   La vendita all’asta delle quote (AUCTION), che è uno dei modi per attuare la seconda politica economica indipendente; quella che mira ad assicurare una giusta distribuzione iniziale dei permessi e quindi a conseguire l’obiettivo dell’equità, che è il secondo principio della sostenibilità.
3. Gli scambi di mercato (TRADE), che attua le terza politica economica indipendente; quella che abilita lo scambio dei permessi nel relativo mercato e punta alla loro ottimale allocazione, assicurando l’efficienza, che è il terzo principio della sostenibilità.

Il sistema dei permessi negoziabili (di sfruttamento o di inquinamento) viene implementato in più passi.
a)    In un primo tempo, con un’idonea politica governativa, si definisce la scala dell’intervento, ossia la quantità di permessi da concedere.
b)    Quindi, con una seconda politica governativa, si stabilisce la modalità più equa per la distribuzione iniziale dei permessi (ad esempio, con la vendita all’asta che, tra l’altro, permette anche di incrementare le entrate governative).
c)    Infine, si lascia alle transazioni individuali del mercato e al suo sistema dei prezzi il compito di allocare automaticamente i permessi, nel modo più efficiente.



CONCLUSIONI

Riavviare il dibattito sui limiti della crescita e passare al paradigma dell’ecologia integrale

Occorre riavviare, al più presto,  il dibattito sui limiti della crescita, cominciato agli inizi degli anni ’70 del XX secolo, con il celebre rapporto del MIT al Club di Roma, e successivamente accantonato, agli inizi degli anni ’80, quando fu chiaro che, per limitare la crescita, si doveva limitare la disuguaglianza dei redditi. L’idea fu aspramente contestata, soprattutto dai cittadini statunitensi, preoccupati dal fatto che, per limitare la disuguaglianza dei redditi, si sarebbe dovuto imporre un tetto al reddito massimo; un provvedimento necessario per assicurare un reddito minimo decoroso.

Allora, come anche adesso, la stragrande maggioranza della gente non riusciva a capire perchè è impossibile un crescita economica biofisica illimitata. Il motivo è che la dinamica del sistema socioeconomico, nella sua dimensione biofisica, è retta dai principi della termodinamica, una disciplina incomprensibile ai più, che tratta essenzialmente di principi di impossibilità e, in particolare, dell’impossibilità di creare energia e di riciclarla integralmente.

L’avversione ad accettare le limitazioni imposte dai principi della termodinamica era particolarmente forte tra la popolazione USA, a causa della loro cieca fede nella capacità dell’uomo di superare qualsiasi limite. Un’idea che è stata indelebilmente impressa nel loro DNA sin dai tempi della conquista dell’Ovest e, successivamente, della conquista della Luna.   Il rifiuto dell’idea di imporre un limite massimo al reddito e alla ricchezza di ogni singolo individuo, assunse la connotazione di una psicosi collettiva che portò la gente a rifiutare di capire i principi della termodinamica e a ritenere che il dibattito sui limiti della crescita si basasse su una teoria tanto fantasiosa quanto falsa.

Come reazione, la gente tornò a sognare e a fantasticare sul mito della crescita economica illimitata; l’idolo da adorare e da propiziare, con la speranza (l’illusione) di arricchirsi smodatamente. La realtà però è ben diversa; è arcigna e indifferente ai sogni. E’ più che mai urgente che la gente si risvegli al più presto dall’ipnosi collettiva in cui è caduta. 

Basta dare un’occhiata all’evoluzione umana sul pianeta, per accorgersi che, in una prospettiva storica,  l’era dell’energia dei combustibili fossili a buon mercato, che sono stati il principale motore della crescita economica esponenziale, è solo un picco fugace, ben presto destinato a sparire. La cruda verità è che l’era della crescita esponenziale dell'economia reale, sostenuta dai combustibili fossili, è stata l’eccezione e che la condizione naturale, alla quale ben presto l’umanità dovrà tornare, è quella dell’economia dello stato stazionario. I cornucopiani devono mettersi il cuore in pace; senza una sufficiente quantità di energia, la scienza e la tecnologia non possono far crescere l’economia reale.


Nel contesto del paradigma tecnocratico, l’intensa attività economica moderna, fondata sull’energia  a buon mercato dei combustibili fossili, sta distruggendo il capitale naturale (i minerali utili e i combustibili fossili), che ormai è divenuto scarso. Risorse che provengono principalmente dai Paesi in via di sviluppo e che vengono convertite, a ritmi sempre più sostenuti, in capitale artificiale, annientando gli habitat di molte specie animali e vegetali e mettendo in serio rischio la biodiversità del pianeta e la funzionalità dei servizi ecosistemici, che svolgono funzioni essenziali alla sopravvivenza dell'umanità.

Se vogliamo evitare il collasso del sistema socioeconomico mondiale, occorre un profondo rinnovamento interiore, un vero “pentimento” collettivo che ci porti ad abbandonare l’attuale paradigma tecnocratico, con il suo insostenibile e fallimentare dogma della crescita materiale illimitata, e abbracciare il nuovo paradigma dell’ecologia integrale. Quest’ultimo si basa sull’economia ecologica dello stato stazionario, che trae la sua ragione d’essere dai principi etici  della scala economica ottimale e della minima disuguaglianza dei redditi. Principi che ritroviamo nei testi sacri e che devono diventare i capisaldi del nuovo sistema economico mondiale, già a partire da questa generazione e per tutte le generazioni future.

E’ importante sapere che la transizione al paradigma dell’ecologia integrale ci porterà numerosi benefici, tra i quali:
a)    la diminuzione della perdita di biodiversità (per limitare la forte estinzione di specie oggi in atto) e un minore sfruttamento degli altri esseri viventi
b)    la riduzione del livello di inquinamento del pianeta
c)    una minore pressione dei ricchi sui poveri e una minore invadenza della presente generazione su quelle future

I problemi tecnici ed economici che si incontrano nel passare al paradigma dell’ecologia integrale, basato sull’economia ecologica dello stato stazionario, non sono impossibili da risolvere. L’aspetto più difficile è quello di vincere la nostra dipendenza psicologica dalla crescita economica biofisica illimitata e di abbandonare il ruolo di consumatori, come modalità naturale della nostra esistenza.


Dobbiamo rifiutare il paradigma tecnocratico, la dipendenza dall’economia consumistica della crescita materiale illimitata, che sta distruggendo la capacità portante della Terra e ci sta portando al collasso sociale. Dobbiamo riconoscere che stiamo percorrendo una strada sbagliata e avere il coraggio di cambiare, in primo luogo dentro di noi, ma non lo dovremo fare in modo individualistico, bensì ricercando la collaborazione e l’aiuto degli altri.

L’arroganza di non volerci riconoscere come creature limitate, anche se speciali agli occhi di Dio, ci ha portati a credere, con l’aiuto della nostra scienza e dell’enorme potenza dataci dalla tecnologia, di poter infrangere ogni limite naturale e di sostituirci a Dio. La nostra superbia è arrivata al punto di voler cambiare tutta la creazione per rifarla a nostro piacimento;  vogliamo distruggere tutto il capitale naturale e sostituirlo con il capitale artificiale, con i prodotti della nostra creatività e capacità. Siamo così abbagliati dal potere illimitato che crediamo di avere da non capire che, se vogliamo risolvere le crisi planetarie che incombono sull’umanità, dobbiamo fare un salto di consapevolezza e ritrovare il nostro vero ruolo al mondo.

Quando passeremo al paradigma dell’ecologia integrale e riallacceremo le giuste relazioni con Dio, con noi stessi, con il prossimo e con la natura, allora capiremo che è naturale adottare un’antropologia biocentrica corretta. Riusciremo a risolvere i problemi della povertà e della forte disuguaglianza dei redditi, ristabiliremo una duratura alleanza con la natura, basata sulla devozione e la cura, comprenderemo la necessità di rispettare la capacità portante della Terra e riconosceremo l’esistenza dei limiti alla crescita sia della popolazione mondiale che del consumo procapite delle risorse naturali.

Una volta Albert Einstein disse: “Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità di chi l'ha creato”. Da ogni crisi, dunque, si può uscire ma a condizione di cambiare paradigma di pensiero, di essere disposti a vedere la realtà in un modo diverso, che è quello più adatto a trovare le soluzioni per superare definitivamente la crisi.



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