LE ORIGINI BIBLICHE DELL’ECONOMIA ECOLOGICA - Parte 2
IL PRINCIPIO BIBLICO DI MINIMA DISUGUAGLIANZA
DEI REDDITI
Il principio spirituale / religioso della minima disuguaglianza dei redditi e la
sua fondamentale importanza economica
Il principio spirituale / religioso, riportato nelle sacre scritture, che qui vogliamo considerare è quello dell’ uguaglianza; un principio spirituale religioso che ha ispirato il principio etico economico che imponeva al popolo ebraico di limitare la disuguaglianza nella distribuzione della terra (della proprietà). Tradotto e adattato al nostro moderno contesto socio politico economico, diventa il principio etico / economico della “minima disuguaglianza dei redditi”, un importante principio dell’economia ecologica dello stato stazionario (secondo solo al principio della “scala economica ottimale”). Un principio etico che, quando viene incorporato nelle attuali politiche economiche, impone dei limiti, massimi e minimi, al reddito procapite.
Ai tempi biblici, la
terra era il principale fattore di produzione, la fonte primaria di reddito.
Per la precisione, la terra era considerata proprietà di Dio e veniva ceduta in
usufrutto alle famiglie per un tempo indefinito, con l’incarico di lavorarla e
di amministrarla. Tutti ne dovevano possedere un po’ o almeno avere il diritto
di spigolare i terreni di altri.
Per il popolo ebraico, la terra era la principale fonte di reddito e di ricchezza e la sua proprietà (la proprietà privata) era considerata un’istituzione necessaria e giusta. Il loro sistema socioeconomico, basato sul monoteismo teocratico, aspirava ad un egualitarismo socio politico economico, capace di assicurare armonia e pace sociale, e riteneva fondamentale il principio di minima disuguaglianza nella distribuzione della terra (della proprietà), anche se era accettata una sia pure limitata disuguaglianza nella sua distribuzione. Anche per l’economia ecologica dello stato stazionario la proprietà privata è un’istituzione di fondamentale importanza, sebbene debba essere leggermente riconsiderata.
E’ importante ribadire
il concetto che tra gli Ebrei, come tra i Cristiani, la proprietà privata,
sebbene spesso contestata, era considerata un’istituzione importante e
necessaria. Essa serviva:
a)
a
garantire ad ogni uomo l’esercizio della libertà e della responsabilità delle
proprie azioni;
b)
a
difendere il singolo individuo da qualsiasi forma di sfruttamento, in quanto
fonte indipendente di sostentamento.
Lo stesso comandamento
“non rubare”, sia pure indirettamente, rafforza la tesi che, per il popolo
ebraico, l’istituto della proprietà privata era di fondamentale importanza.
Inizialmente, la terra veniva distribuita in modo uguale o comunque giusto tra le famiglie. Con il tempo, però la proprietà della terra (la ricchezza) tendeva a distribuirsi in modo disuguale per diversi motivi; alcuni leciti, come ad esempio le diverse abilità delle persone, la diversa fertilità dei terreni, le alterne fortune, i matrimoni che tendevano a concentrare la ricchezza; altri invece illegali, come lo sfruttamento, la disonestà, ecc. A causa di tutti questi fattori, la società ebrea accettava un certo grado di disuguaglianza, purchè fosse stato conseguito nel rispetto delle regole di onestà nel commercio, applicando un tasso di interesse nullo nelle transazioni economiche e rispettando le buone pratiche come:
a) il riposo sabbatico dei terreni,
b) l’osservanza dei diritti minimi dei poveri,
c) il versamento delle decime, ecc.
Il divieto di praticare
l’interesse sui crediti era un modo per limitare la disuguaglianza, dato che la
dinamica esponenziale del debito ad interesse consente al prestatore di
accumulare, ingiustamente e in breve tempo, grandi fortune, impoverendo spesso il
debitore.
Detti principi di
politica economica sono espressi in modo esplicito nel Vecchio Testamento, ma vengono
indicati anche nel Nuovo Testamento, sebbene in chiave di un più forte impegno
personale, di maggiori ammonimenti circa i pericoli della ricchezza e di una
maggiore preoccupazione per la sorte dei poveri.
Da sole, però, le istituzioni non sono sufficienti; occorre anche un rinnovato impegno personale e la convinta partecipazione di ogni singolo individuo al cambiamento. Ad esempio, un’esortazione al rinnovamento interiore la si trova nella seconda lettera di Paolo ai Corinzi:
Da sole, però, le istituzioni non sono sufficienti; occorre anche un rinnovato impegno personale e la convinta partecipazione di ogni singolo individuo al cambiamento. Ad esempio, un’esortazione al rinnovamento interiore la si trova nella seconda lettera di Paolo ai Corinzi:
7 E come siete ricchi in ogni cosa, nella
fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi
abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest'opera generosa. 8 Non dico questo per darvi un comando,
ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura
verso gli altri. 9 Conoscete
infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto
povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. 10 E a questo riguardo vi do un
consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi, che fin dallo scorso anno
siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma anche a volerla. 11 Ora dunque realizzatela perché, come
vi fu la prontezza del volere, così vi sia anche il compimento, secondo i
vostri mezzi. 12 Se infatti c'è
la buona volontà, essa riesce gradita secondo quello che uno possiede e non
secondo quello che non possiede. 13
Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma
che vi sia uguaglianza. 14 Per
il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la
loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta
scritto: 15 Colui che raccolse
molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno. (2Cor. 8, 7-15)
Il riferimento all’
Esodo riguarda l’episodio della manna che Dio somministrò agli Israeliti
durante le loro peregrinazioni nel deserto:
18 Si misurò con l'omer: colui che ne
aveva preso di più, non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno
non ne mancava: avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. Esodo
(Es. 16,18) (1 omer era uguale a 10 efa o circa 350 litri)
I testi sacri forniscono
un’indicazione su quali dovessero essere i limiti, di lungo periodo, ammessi
per la disuguaglianza della ricchezza:
8 Conterai sette settimane di anni, cioè
sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di
quarantanove anni. 9 Al decimo
giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno
dell'espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. 10 Dichiarerete santo il cinquantesimo
anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà
per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua
famiglia. 11 Il cinquantesimo
anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i
campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. 12 Poiché è un giubileo: esso sarà per
voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi.13 In quest'anno del giubileo ciascuno
tornerà nella sua proprietà.14 Quando
vendete qualcosa al vostro prossimo o quando acquistate qualcosa dal vostro
prossimo, nessuno faccia torto al fratello.15
Regolerai l'acquisto che farai dal tuo prossimo in base al numero degli anni
trascorsi dopo l'ultimo giubileo: egli venderà a te in base agli anni di
raccolto. 16 Quanti più anni resteranno,
tanto più aumenterai il prezzo; quanto minore sarà il tempo, tanto più
ribasserai il prezzo, perché egli ti vende la somma dei raccolti. Levitico (Lv 25, 8-16)
In sostanza, la massima
disuguaglianza ammissibile era quella che si poteva generare in 50 anni,
partendo da una distribuzione iniziale equa. Al 50° anno, al giubileo, si
ritornava all’originaria distribuzione della terra (che allora era praticamente
l’unica forma di ricchezza).
A causa dell’istituzione
del Giubileo, il valore della terra cambiava nel tempo. Con l’approssimarsi
dell’anno del giubileo, il prezzo dei terreni diminuiva, facendo venir meno
l’incentivo ad accumulare nuove terre che, di lì a poco, si sarebbero dovuto cedere.
Viceversa, subito dopo l’anno giubilare, l’attività di accumulo di nuovi
terreni era massima perché il proprietario poteva godere di tanti raccolti,
fino al successivo giubileo.
Secondo la matematica finanziaria
moderna, il capitale (C) si determina come valore attualizzato di un flusso di
reddito (R) futuro, scontato al tasso di interesse x, secondo la formula :
C
= R . [(1 + x)N – 1] / [ x . (1 + x)N]
dove:
C capitale
(valore della terra)
R reddito
annuo (raccolto annuo)
x tasso
di interesse (nullo, per legge)
N numero
di anni di attualizzazione (anni mancanti al giubileo)
Dato che nella società
ebrea era vietato praticare l’interesse, il valore del terreno (il capitale) era
pari agli anni di rendita (la somma dei raccolti degli anni che restano al
giubileo). Infatti, dalla formula del capitale, al limite, per x → 0, si ha
:
C
= N . R
La legge ebraica
prevedeva obblighi, anche nel breve periodo (senza dover aspettare il
giubileo), finalizzati a limitare la disuguaglianza dei redditi. Si ricordano
le leggi finalizzate ad assicurare un livello minimo di reddito ai bisognosi,
come ad esempio: il diritto alla spigolatura dei campi, l’elemosina, le leggi
che proteggevano gli schiavi, le vedove e gli orfani. Esisteva persino un
limite alla massima ricchezza che si poteva accumulare. Per la legge ebraica,
lo stesso Re non poteva accumulare ricchezze oltre un certo limite.
15 dovrai costituire sopra di te come re
colui che il Signore, tuo Dio, avrà scelto. Costituirai sopra di te come re uno
dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo
fratello. 16 Ma egli non dovrà
procurarsi un gran numero di cavalli né far tornare il popolo in Egitto per
procurarsi un gran numero di cavalli, perché il Signore vi ha detto: «Non
tornerete più indietro per quella via!». 17 Non dovrà avere un gran numero di mogli, perché il suo cuore non
si smarrisca; non abbia grande quantità di argento e di oro. 18 Quando si insedierà sul trono
regale, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge, secondo
l'esemplare dei sacerdoti leviti. Deuteronomio
(Dt 17,15-18)
La filosofia del “quanto
basta” e un’indicazione dei limiti alla disuguaglianza tra gli individui si
trova anche nel libro dei Proverbi:
7 Io ti domando due cose,
non negarmele prima che io muoia:
8 tieni lontano da me falsità e menzogna,
non darmi né povertà né ricchezza,
ma fammi avere il mio pezzo di pane,
9 perché, una volta sazio, io non ti rinneghi
e dica: «Chi è il Signore?»,
oppure, ridotto all'indigenza, non rubi
e abusi del nome del mio Dio.
non negarmele prima che io muoia:
8 tieni lontano da me falsità e menzogna,
non darmi né povertà né ricchezza,
ma fammi avere il mio pezzo di pane,
9 perché, una volta sazio, io non ti rinneghi
e dica: «Chi è il Signore?»,
oppure, ridotto all'indigenza, non rubi
e abusi del nome del mio Dio.
Proverbi (Prv 30,7-9)
Il
principio etico di minima disuguaglianza dei redditi nel contesto
socioeconomico moderno
Nel contesto
socioeconomico moderno, il principio etico di minima disuguaglianza dei redditi
viene tradotto stabilendo un limite minimo e un limite massimo al reddito procapite.
Il reddito personale minimo deve essere sufficiente ad assicurare uno stile di vita decoroso, che soddisfi i bisogni umani fondamentali (cibo, vestiti, alloggio, assistenza sanitaria e istruzione di base). Il reddito personale massimo viene originariamente stabilito ad un prefissato multiplo di quello minimo che, entro certi limiti, può essere indicizzato (come incentivo alla classe dirigente), in relazione al miglior andamento dell’economia.
Nell’attuale contesto
socio economico, politico e culturale, è praticamente impossibile applicare
l’istituzione del giubileo, anche se è doveroso individuare soluzioni per
annullare gran parte del debito accumulato dai Paesi in via di sviluppo. Il
giubileo ebreo si basava infatti su presupposti oggi difficili da realizzare;
quali:
a)
una
distribuzione iniziale ugualitaria della ricchezza, decisa su base divina; cosa che
evidentemente oggi non è attuabile, anche perchè la ricchezza non è più
costituita solamente dalla terra ma è distribuita in una forma molto più
strutturata e complessa di capitale artificiale e capitale umano (abilità, livello
di istruzione, ecc.);
b)
l’esistenza
di un’economia dello stato stazionario,
l’unica che permette di ritornare alla distribuzione originaria della ricchezza
(allora era la terra); una condizione che, oggi, è un obiettivo da raggiungere ma,
di certo, non una situazione di fatto;
c)
un
tasso di interesse nullo,
che oggi non può essere imposto in modo generalizzato e permanente, a causa dell’enorme
prevalenza del capitale artificiale e della complessa struttura del debito.
L’economia dei tempi
biblici era un’economia dello stato stazionario, sostenibile, ancora lontana
dai limiti ecologici, dove i problemi della sovrappopolazione e del collasso
ambientale non erano significativi. La demografia era pressochè stazionaria, a
causa dell’allora elevato tasso di mortalità della gente, e la fertilità dei
terreni non era soggetta ad un rapido esaurimento perché l’economia agricola e
pastorale era condotta su piccola scala e dipendeva sostanzialmente dall’energia
solare.
L’economia era automaticamente sostenibile :
-
sia
perché non era di intensità tale da sfruttare a fondo le risorse naturali
-
sia
perché, già allora, esistevano leggi a protezione degli ecosistemi. Ad esempio,
vigeva l’obbligo del riposo sabbatico della terra, per preservarne la fertilità,
il divieto della cattura di uccelli durante il periodo della cova, il divieto
di tagliare gli alberi da
frutto, soprattutto in tempo di guerra,
ecc.
3 per sei anni seminerai il tuo campo e
poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; 4 ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la
terra, un sabato in onore del Signore. Non seminerai il tuo campo, non poterai
la tua vigna. 5 Non mieterai
quello che nascerà spontaneamente dopo la tua mietitura e non vendemmierai
l'uva della vigna che non avrai potata; sarà un anno di completo riposo per la
terra. 6 Ciò che la terra
produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla
tua schiava, al tuo bracciante e all'ospite che si troverà presso di te; 7 anche al tuo bestiame e agli animali
che sono nella tua terra servirà di nutrimento quanto essa produrrà. Levitico (Lv 25, 3-7)
10 Per sei anni seminerai la tua terra e ne
raccoglierai il prodotto,11 ma nel
settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli
indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà consumato dalle bestie
selvatiche. Così farai per la tua vigna e per il tuo oliveto. Esodo (Es 23,10-11)
6 Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido
d'uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le
uova, non prenderai la madre che è con i figli. Deuteronomio
(Dt 22,6)
19 Quando cingerai d'assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e
conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne
mangerai il frutto, ma non li taglierai: l'albero della campagna è forse un
uomo, per essere coinvolto nell'assedio? 20 Soltanto potrai distruggere
e recidere gli alberi che saprai non essere alberi da frutto, per costruire
opere d'assedio contro la città che è in guerra con te, finché non sia caduta. Deuteronomio (Dt 20,19-20)
Oggi non ha più senso
lasciare il raccolto agli angoli dei campi affinchè viandanti, ospiti, vedove e
orfani possano spigolare. Tuttavia il principio di prendersi cura dei bisognosi
è universale e dunque sempre valido. Nel tempo, cambiano solo le modalità di
soddisfare i bisogni.
Pertanto, una volta individuata l’ispirazione religiosa dei tempi biblici, che si riferisce ad un importante principio economico fondamentale, occorre comprenderne il significato etico originario, identificare a cosa equivale nell’attuale contesto socioeconomico e tradurlo in concrete e coerenti politiche economiche attuali.
Pertanto, una volta individuata l’ispirazione religiosa dei tempi biblici, che si riferisce ad un importante principio economico fondamentale, occorre comprenderne il significato etico originario, identificare a cosa equivale nell’attuale contesto socioeconomico e tradurlo in concrete e coerenti politiche economiche attuali.
Limiti
massimi e minimi alla disuguaglianza dei redditi
Oggi, in assenza di una
legge divina che lo imponga, occorre trovare un modo accettabile per definire
il giusto livello di disuguaglianza ammissibile, che tenga conto del diverso
impegno lavorativo, delle diverse capacità e dell’iniziativa e responsabilità
della gente. Il principio etico
individuato è quello di minima disuguaglianza dei redditi che consiste nel
fissare un limite minimo ed un limite massimo al reddito personale. E’ bene
sottolineare che non è importante individuare, in modo preciso, i limiti
superiore ed inferiore del reddito e della ricchezza. Ciò che è importante è invece
stabilire il principio che tali limiti debbano esistere e che debbano essere
giusti e pratici.
Coloro che sostengono la
teoria della crescita economica biofisica illimitata (i cornucopiani) ritengono
che l’economia dello stato stazionario sia stato solo un incidente storico e
non una imposizione divina. Essi sottolineano che, grazie ai progressi della scienza
e della tecnologia moderne, si sono potuti finalmente rimuovere i vincoli che
hanno storicamente costretto l’umanità ad un’economia dello stato stazionario e
che, pertanto, oggi possiamo permetterci di fissare un livello mimino dei
redditi, per eliminare la povertà, senza doverci preoccupare di fissare anche
un livello massimo.
Se il limite minimo di
reddito gode di un ampio sostegno tra la classe politica, salvo poi
temporeggiarne l’applicazione, il concetto di limite massimo di reddito viene
istintivamente rifiutato dagli stessi cittadini (sopratutto negli USA) perché
contrasta con il mito della capacità dell’uomo di superare ogni limite e con il
dogma che tutti devono avere il diritto di arricchirsi. Un concetto che trova
conferma nel paradigma dell’economia neoclassica dominante, che non prevede
alcun limite superiore al reddito e alla ricchezza e che predica il principio
della crescita economica materiale illimitata.
I cornucopiani pensano
che non sia giusto limitare il reddito massimo perché sono convinti che tutti
debbano poter essere liberi di arricchirsi quanto vogliono. Essi ritengono che la ricchezza possa crescere
senza limiti e inneggiano all’aumento della disuguaglianza dei redditi, che
considerano come un bene perché promuove la crescita economica. Inoltre, essi
affermano che se i ricchi diventano ancora più ricchi, per effetto della loro maggiore
spesa e degli accurati investimenti delle loro faraoniche fortune, tutta la
società ne beneficerà, compresa la fascia meno abbiente (teoria dello
sgocciolamento).
La posizione dei
cornucopiani non è difendibile, per due motivi:
a)
Distruzione
del senso della comunità.
All’aumentare della disuguaglianza dei redditi, oltre un certo limite, viene meno il senso della comunità,
di solidarietà e di fratellanza. Non è tanto la povertà assoluta che genera
risentimenti da parte della classe meno abbiente ma è quella relativa rispetto
ai ricchi, che diventano sempre più ricchi. All’aumentare della disuguaglianza
dei redditi, la fascia più ricca della popolazione tende ad isolarsi dal resto
della comunità e si inaridisce di cuore. La comunità si divide, è meno felice e
resiliente e il potere politico tende a concentrarsi fino ad assumere le
caratteristiche di un’oligarchia plutocratica.
b)
Limiti
al potere della scienza e della tecnologia. I progressi della scienza e della tecnologia non possono
rimuovere tutti i vincoli e proiettare l’economia verso una crescita materiale
infinita. Anzi, è proprio vero il contrario. Grazie all’enorme potere della scienza
e della tecnologia, l’uomo si è avvicinato troppo pericolosamente ai limiti
dell’ecosistema e, per di più, secondo una dinamica di crescita esponenziale.
Credere di poter infrangere i limiti naturali senza subire alcuna conseguenza è
demenziale; è come credere di potersi sostituire a Dio e rifare il Creato a
nostro piacimento, per inseguire le nostre brame di onnipotenza.
Continuando con la
dinamica di crescita esponenziale, molto prima di raggiungere il limite
biofisico, l’economia mondiale supererà le dimensioni limite ottimali (Punto B)
ed entrerà nella zona della crescita antieconomica, dove i costi marginali dell’ulteriore
crescita superano i benefici marginali. E’ molto probabile che, già oggi, l’economia
mondiale abbia superato le dimensioni limite ottimali, anche se non possiamo
esserne certi, perché, nell’ attuale sistema di contabilità nazionale e mondiale,
utilizziamo come indicatore il PIL, un indice sintetico monetario che misura
l’attività economica, nel suo complesso, e non ci permette di contabilizzare
separatamente i costi e i benefici della crescita.
Le
politiche economiche di attuazione del principio etico di minima disuguaglianza
Il criterio più giusto e
pratico per delimitare l’intervallo di disuguaglianza è quello di imporre sia
un limite massimo che un limite minimo al reddito. Per quanto riguarda la
ricchezza, non ha senso stabilire un limite inferiore, in quanto le vicissitudini
della vita potrebbero portare un individuo a perdere tutta la sua ricchezza. Invece
è importante stabilire un tetto massimo alla ricchezza procapite.
Secondo l’economia
ecologica dello stato stazionario c’è un limite superiore alle dimensioni del
transflusso entropico che l’ecosistema può sostenere e, di conseguenza, al reddito
massimo globalmente producibile. Di conseguenza, è necessario imporre un limite
superiore al reddito procapite ammissibile. Essendo l’economia un gioco a somma
zero, se il reddito globale, che è superiormente limitato, si concentra nelle
mani di pochi individui eletti, che si arricchiscono sempre di più, allora i
poveri si devono ulteriormente impoverire. D’altra parte, se si decide di
aumentare il livello di reddito minimo procapite, allora si deve ridurre il
livello di reddito massimo procapite.
Il reddito minimo procapite
deve essere sufficiente ad assicurare uno stile di vita decoroso che soddisfi i
bisogni umani fondamentali: cibo, vestiti, alloggio, assistenza sanitaria e
istruzione di base (solo a titolo di esempio si potrebbe fissare a 750 euro/mese). Solo indicativamente,
per definire un limite alla disuguaglianza dei redditi, si potrebbe pensare ad
un fattore 40 tra il reddito procapite massimo e quello minimo (è il
rapporto suggerito da Adriano
Olivetti, negli anni ’40 del XX secolo). Il fattore 40 non ha nulla di
esoterico ma è tale da:
a)
riconoscere
(abbondantemente) le differenze di impegno lavorativo, capacità, iniziativa e responsabilità tra
gli individui, che si devono giustamente riflettere in differenze di
retribuzioni e di incentivi per stimolare l’emergere di quelle qualità.
b)
mantenere
ancora aggregate le persone
che devono sentire di poter trarre vantaggi dal vivere in comunità, dall’interagire secondo una sana
collaborazione, evitando la perversa dinamica della competizione, delle “isole
umane”, che porta allo sfaldamento della società.
Come già detto, il fattore
40 è solo indicativo e lo si può tranquillamente cambiare; potrebbe andare bene anche 20. L’importante è fissare un limite
massimo al livello di reddito procapite. Nel mondo occidentale, la
disuguaglianza dei redditi è in forte crescita. Dagli anni ’60 del secolo
scorso ad oggi, il rapporto tra reddito massimo e reddito minimo è cresciuto da
10 a 100 e anche oltre. La cosa è preoccupante perché, molto prima di
raggiungere il fattore 100, la comunità incomincia a disintegrarsi e iniziano
ad insorgere gravi conflitti di classe.
La classe politica, che
nel paradigma tecnocratico è sottomessa al potere economico finanziario, cerca
irresponsabilmente di negare in tutti i modi i problemi di un’economia
globalizzata troppo vicina ai limiti ecologici e l’esistenza di una forte disparità
tra i redditi.
Oggi, chi solleva l’urgenza di un dialogo aperto sui questi temi viene deriso o accusato di essere un sobillatore di animi e di voler ripristinare la lotta di classe. Tuttavia questi sono temi che, ben presto, diventeranno incubi per le elite, anche se la classe politica, con l’aiuto dei media, cerca di nasconderli all’attenzione dei cittadini.
Oggi, chi solleva l’urgenza di un dialogo aperto sui questi temi viene deriso o accusato di essere un sobillatore di animi e di voler ripristinare la lotta di classe. Tuttavia questi sono temi che, ben presto, diventeranno incubi per le elite, anche se la classe politica, con l’aiuto dei media, cerca di nasconderli all’attenzione dei cittadini.
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