LE ORIGINI BIBLICHE DELL’ECONOMIA ECOLOGICA - Parte 3


IL PRINCIPIO BIBLICO DELLA CURA E DEL RISPETTO PER LA NATURA

Il principio spirituale di custodire e coltivare la natura e la sua fondamentale importanza economica

Consideriamo ora il principio spirituale / religioso, riportato nelle sacre scritture, che riguarda Dio che assegna all’uomo, Sua unica creatura personale, il mandato di custodire e coltivare il Suo Creato; un principio spirituale che ha ispirato il principio etico economico della “cura e rispetto della natura”. Tradotto e adattato al nostro moderno contesto socio politico economico, diventa il principio etico / economico della “scala economica ottimale”, il più importante principio  dell’economia ecologica dello stato stazionario. Un principio etico che, quando viene incorporato nelle attuali politiche economiche, impone di non superare la dimensione (la scala) ottimale dell’economia globale, oltre la quale si entra nella regione della crescita antieconomica. Quella della scala ottimale è una dimensione limite dell’economia globale, in corrispondenza della quale si deve arrestare la crescita economica biofisica e pensare soprattutto ad un’equa distribuzione dei redditi. 

Tutte le più importanti religioni monoteistiche: il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islam, che hanno le stesse radici bibliche, condividono la medesima visione del Creato e insegnano la necessità di una sua gestione consapevole. Altre religioni come, ad esempio il Buddismo, insegnano la virtù di vivere al mondo con equilibrio, in punta di piedi. Insomma, tutte le principali religioni al mondo concordano nell'esortare l’uomo a gestire in modo responsabile il pianeta sul quale vive e, comunque, tutte lo ammoniscono per la sua incapacità di impegnarsi seriamente in questo suo fondamentale compito.


Nella Genesi si racconta che Dio creò il mondo e tutti gli esseri viventi e si compiacque perché ritenne di aver fatto una cosa buona (Gn. 1, 25); poi Dio creò l’uomo e, dopo averlo creato, si compiacque perché pensò di aver fatto una cosa ancora più buona  (Gn. 1, 31):

25 Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. 26 Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». 27 E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. 28 Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». 29 Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. 30 A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. 31 Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno. Genesi (Gn. 1, 25-31)

Per il credente, l’uomo è una creatura privilegiata agli occhi di Dio perché è l’unico essere personale (dotata di un "io"), ma non è l’unica creatura che ha valore davanti a Lui. Dobbiamo essere grati al Signore per il mondo e per la vita che ci ha donati e dobbiamo esprimere la nostra gratitudine con la preghiera ma anche con la conduzione di una vita sobria. Se amiamo Dio dobbiamo anche amare la natura che Egli ha creato. Dobbiamo avvicinarci alla natura con rispetto e con stupore per la sua capacità di accogliere e sostenere la vita e dobbiamo cercare di capire come funziona per poterla proteggere e curare senza danneggiarla, a causa della nostra ignoranza.

In tutte le specie viventi, l'uomo riconosce un valore d’uso, che è funzionale ai suoi bisogni, ma sa che esse hanno anche un valore intrinseco, perchè sono creature senzienti che hanno il diritto di godere della vita. L’uomo riconosce un valore intrinseco nei confronti del suo prossimo e, purtroppo, anche un valore strumentale (il valore del lavoro umano) che è sempre stato all'origine di numerosi conflitti. Forse si dovrebbe maggiormente riflettere sul fatto che anche le altre specie riconoscono nell’uomo un valore strumentale, che è generalmente negativo ma che  può diventare positivo quando l’uomo aiuta quelle specie ad evolversi e a prosperare.


Credenti e non credenti a difesa dell’ambiente

La Chiesa non si è mai schierata esplicitamente a favore dell’ambiente perché, fino a poco tempo fa, non si era resa conto della seria minaccia che incombe sul Creato. Una minaccia che è stata sempre sottovalutata sia dai cristiani che dai non cristiani, perché strettamente legata alla crescita demografica e all’aumento dei consumi procapite; aspetti continuamente auspicati sia dalla Chiesa che dalla cultura secolare.

Dai tempi dell’illuminismo fino ad oggi, in piena era tecnocratica, la classe politica dirigente ha sempre promosso la crescita economica biofisica illimitata, convinta che fosse la migliore soluzione del problema della povertà, anche perchè è quella che evita di dover ricorrere a specifiche politiche per un’equa distribuzione della ricchezza che, ovviamente, sono poco gradite alla elite. Per una volta, la Chiesa si è trovata d’accordo con il pensiero secolare ed ha confidato nel progresso tecnologico (nella crescita materiale illimitata), convinta che avrebbe finalmente risolto il problema della povertà; quando invece, nel passato, erano falliti tutti gli sforzi intesi a raggiungere un’ equa distribuzione dei redditi. Con il parere favorevole della Chiesa, il concetto della crescita economica biofisica illimitata, come panacea di ogni problema socioeconomico, si consolidò fino a diventare un mito.

In poco tempo, il paradigma della crescita economica materiale esponenziale, tanto auspicata da tutti, ha trasformato un mondo ricco di capitale naturale e vuoto di capitale artificiale, nel suo esatto opposto. Oggi viviamo in un mondo stracolmo di capitale artificiale, dove il capitale naturale e i suoi servizi ecosistemici, tanto essenziali come supporto alla vita, iniziano a scarseggiare. E’ solo da poco tempo che l’umanità incomincia timidamente a prendere coscienza dell’ utilità e dell'importanza delle risorse naturali e della necessità di preservarle.


Con la continua crescita dell’economia mondiale, è molto probabile che le sue dimensioni abbiano già superato la scala ottimale e che siamo entrati nella zona della crescita antieconomica; una condizione di progressivo impoverimento, a livello globale, che rende ancora più difficile affrontare e risolvere le emergenze planetarie della povertà, dell’ingiusta distribuzione dei redditi e del degrado ambientale. Purtroppo non possiamo saperlo con certezza perchè continuiamo a misurare le prestazioni della nostra economia globale con il PIL, che è un indicatore sintetico monetario dell’attività economica ma non del benessere. D'altra parte, sedotti dal mito della crescita biofisica illimitata, continuiamo a sperare in un continuo aumento del PIL e siamo allegri quando questo cresce (anche se sempre più lentamente). Se, invece del PIL, avessimo adottato degli indicatori di prosperità, ci saremmo accorti che, già a partire dagli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, il benessere economico reale stava iniziando a diminuire in tutto il mondo.

Per un credente evoluzionista, il quale ritiene che il progetto divino della creazione del mondo (della Natura) sia un processo evolutivo, ossia una creazione di potenzialità che si esprimono nel tempo, anche con l’aiuto dell’uomo, e non un atto divino già definitivamente compiuto, l’esistenza dell’uomo è colma di grande responsabilità e significato. Nell’accettare responsabilmente il mandato di Dio di custodire e coltivare il suo Creato, l’uomo riconosce la fragilità  della natura; si prende cura di essa, la protegge e imposta relazioni di amore e di rispetto delle sue leggi e dei delicati equilibri tra tutti gli esseri viventi. Inoltre, accettando di svolgere il compito di coltivare la natura, l’uomo si è anche assunto la grande responsabilità di sviluppare e far emergere tutte le potenzialità che Dio stesso ha originariamente riposto in essa. Tuttavia, nonostante il grande onore ricevuto, il credente sa di essere una creatura limitata e che il mondo non è di sua proprietà ma è di Dio che lo ha creato (Sal 24,1), (Dt 10,14).

1 Salmo di Davide. Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti. Salmo (Sal 24,1)

14 Ecco, al Signore tuo Dio appartengono i cieli, i cieli dei cieli, la terra e quanto essa contiene. Deuteronomio (Dt 10,14)

Un materialista scientifico, che non è credente e che rifiuta sia l’idea della creazione come un atto definitivamente compiuto sia il concetto di creazione evolutiva, si arrocca su posizioni scientiste o materialiste e può scegliere tra una posizione riduzionista, meccanicistica, alla Monod (il caso e la necessità), oppure di sintesi, alla Prigogine (la termodinamica delle strutture dissipative). I darwinisti, ad esempio, che si sono autoesclusi dal dialogo sui principi etici e sulla concreta attuazione delle politiche economiche, hanno preferito arroccarsi su posizioni meccanicistiche, negando l’esistenza di uno scopo e l’efficacia di una qualsiasi politica economica.

Comunque è commovente vedere con che grande fervore un materialista scientifico impegna le proprie energie allo scopo di dimostrare che la vita è senza scopo. Se, come essi affermano, la natura è solo una conseguenza del puro caso e non è causata intenzionalmente, allora l’uomo non ha alcuna responsabilità etica nei suoi confronti e quindi non si capisce perché essi siano sempre così ansiosi di prendersi cura della natura e di difenderla.


Da parte loro, i credenti non devono essere necessariamente contrari ad una visione scientifica del mondo. Per custodire e coltivare il Creato, secondo il mandato di Dio, ed evitare di danneggiarlo, occorre prudenza, diligenza e perizia. Pertanto occorre anche capire come funziona il mondo nella sua dimensione biofisica.

Indipendentemente dal credere o meno che il mondo sia una creazione di Dio, completa o evolutiva, un dono che Egli ha affidato alle nostre cure, oppure che sia il prodotto del caso e della necessità oppure ancora che sia un sistema dissipativo, infinitamente complesso, lontano dall’equilibrio termodinamico, tutti dovrebbero accettare, con senso di responsabilità, di curarsi del mondo in cui vivono.

Un comune motivo di preoccupazione per tutti, credenti e non credenti, è l’attuale crescita esponenziale dei consumi. La dinamica del sistema socioeconomico, nella sua dimensione biofisica, è retta dai principi della termodinamica, che sono essenzialmente principi di impossibilità. Essi impongono un tetto alla crescita illimitata del prelievo, dall’ambiente, delle risorse naturali (materia ed energia utile, a bassa entropia) e dello scarico, nell’ambiente, dei rifiuti (materia ed energia inutile, ad alta entropia).

Per capirne le ragioni occorre rifarsi alla visione preanalitica dell’economia ecologica dello stato stazionario. Ragionando sul piano di astrazione biofisico, essa considera il sistema socioeconomico globale come un sottosistema aperto dell’ecosistema globale (ambiente), interamente contenuto in esso, con il quale scambia materia, energia e riceve i servizi ecosistemici. A sua volta, l’ecosistema globale è un  sistema di dimensioni finite, perché  limitato dalle dimensioni del pianeta, che non può crescere materialmente ma si sviluppa secondo una dinamica stazionaria. E’ un sistema interfacciato con l’universo, chiuso alla materia e aperto ad un flusso di energia radiante. Tra il sottosistema socioeconomico e l’ecosistema si verifica un passaggio unidirezionale di materia e di energia (il transflusso entropico). In pratica, il sottosistema socio economico preleva dall’ambiente materia ed energia a bassa entropia (utili a produrre beni e servizi necessari a soddisfare i bisogni umani) e scarica nell’ambiente materia ed energia ad alta entropia (emissioni e rifiuti inutili).

La visione preanalitica dell’economia ecologica dello stato stazionario:
l’economia umana globale è un sottosistema dell’ecosistema (ambiente)

La visione preanalitica dell’economia ecologica  può essere facilmente accettata anche da un non credente perché i dati sperimentali ci confermano che è in atto un’importante liquidazione delle risorse naturali non rinnovabili e un devastante inquinamento del pianeta.

Viceversa, la visione preanalitica della teoria economica tradizionale, neoclassica, ragionando sul piano di astrazione simbolico monetario, vede l’economia umana come il tutto che può crescere in uno spazio vuoto infinito, senza mai incontrare alcuna limitazione. Secondo questa visione, la natura (ambiente) è un sottosistema di dimensioni limitate, tutta contenuta nel sistema economico umano. Ciò è possibile grazie al criterio di sostenibilità debole, adottato dalla teoria economica tradizionale, secondo il quale il capitale naturale e i servizi ecosistemici possono essere perfettamente sostituiti dal capitale artificiale prodotto dall’economia.

La visione preanalitica della teoria economica tradizionale:
l’ecosistema (ambiente) è un sottosistema dell’economia umana globale

Secondo questa visione, che però non è confermata dai dati sperimentali, non esistono problemi di esaurimento delle risorse naturali non rinnovabili né di inquinamento dell’ambiente. Il sistema socioeconomico umano può espandersi in modo illimitato, senza mai incontrare alcun ostacolo, dato che non deve confrontarsi con nessun tipo di costi opportunità

E’ importante sottolineare che le visioni preanalitiche non sono visioni religiose ma, al pari di esse, non possono essere sottoposte ad un’analisi razionale perché sono esse stesse che definiscono i termini dell’analisi e, quindi, non possono contenere elementi in grado di falsificarle. E' però possibile esprimere un giudizio etico e, sotto questo punto di vista, la visione preanalitica dell’economia ecologica risulta più in armonia con la fede religiosa di quanto non lo sia la visione preanalitica dell’economia tradizionale.

Il paradigma dell’economia ecologica indirizza verso la ricerca di una scala ottimale dell’economia umana, oltre la quale si deve fermare la crescita economica materiale e pensare soprattutto ad un’equa distribuzione dei redditi. Viceversa, il paradigma dell’economia tradizionale spinge verso la crescita economica materiale illimitata e verso uno sfruttamento devastante degli esseri umani e della capacità portante del pianeta.


Il principio etico della scala economica ottimale nel contesto socioeconomico moderno

Il principio etico è il seguente:

Massimizzare gli anni–persona, ossia rendere massimo il numero complessivo di persone che si devono sostenere per un periodo di tempo illimitato (distribuite su tutte le generazioni) ad un livello di consumo procapite di risorse tale da assicurare un tenore di vita sufficiente.

Il credente riconosce che il mondo è stato creato da Dio e che noi, esseri umani, siamo stati incaricati da Dio stesso a coltivare e a custodire il Creato, ossia la natura, l’ambiente che ci circonda.

15 Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Genesi (Gn. 2,15)

Questo deve farci riflettere su quale sia la finalità del nostro passaggio sulla Terra e quale sia il modo moralmente corretto di vivere al mondo. Occorre chiedersi quanto sia sensato impegnare le nostre risorse di tempo, capacità, volontà e intelligenza per trasformare tutto il Creato (la natura) in manufatti artificiali, a velocità logistica (la massima che ci è consentita dalle risorse tecnologiche e finanziarie disponibili), solo per soddisfare la nostra avidità, i nostri inesauribili bisogni. Dobbiamo fermarci un attimo e domandarci se sia veramente sensata la crescita economica biofisica illimitata: il principio sul quale abbiamo fondato la nostra società moderna.


Sono già in molti a ritenere che abbiamo bisogno di un nuovo principio etico, capace di riorientare l’attività economica in modo da svilupparla in armonia con le fondamentali intuizioni spirituali e in coerenza con il rispetto dei limiti dell’ambiente. Si sente il bisogno di un principio morale che integri i principi etici di sostenibilità: sufficienza, giustizia ed efficienza.

Secondo Jeremy Bentham, considerato il fondatore della scuola utilitarista, la nascita della società e le scelte umane sono spiegabili tramite il principio etico dell'utile sociale, che si esprime nel seguente modo:

la maggiore felicità possibile per il maggior numero di persone”.

Il principio così formulato è di difficile applicazione perchè implica una doppia massimizzazione. Lo si può pertanto riformulare, ottenendo i due seguenti principi etici alternativi:

PRINCIPIO ETICO N° 1 (sviluppo sostenibile): puntare ad un livello di consumo procapite tale da assicurare un tenore di vita sufficiente al massimo numero di persone da sostenere per un periodo di tempo illimitato (su tutte le generazioni).

oppure:

PRINCIPIO ETICO N° 2 (crescita biofisica illimitata): puntare ad un livello di consumo procapite tale da assicurare il massimo tenore di vita ad un limitato numero di persone della presente generazione.


L’economia ecologica dello stato stazionario si fonda  sul primo principio etico e si impegna a conseguirlo per generare una ricchezza sostenibile, sufficiente per tutte le future generazioni, efficacemente conservata, equamente distribuita su tutto il pianeta e allocata in modo efficiente. Mirare ad assicurare un tenore di vita sufficiente per il massimo numero di persone distribuite su tutte le generazioni è un principio etico ragionevole, dato che non possiamo sapere quando ci sarà la fine del mondo.

L’economia tradizionale, neoclassica, si basa invece sul secondo principio etico, quello che si prefigge di assicurare il massimo tenore di vita ad un limitato numero di persone della presente generazione. Nonostante tutto, è anch’esso un principio razionale perché si basa su un metodo di attualizzazione che sconta il futuro. In altre parole, per gli economisti tradizionali, il valore delle generazioni future diminuisce progressivamente e, oltre un certo numero di esse, che dipende dal tasso di sconto adottato, tutte le generazioni successive perdono di valore. Per chi ragiona in questi termini, oltre quel numero limite di generazioni, il mondo potrebbe anche finire senza che a nessuno importi nulla.


Su un pianeta dalle dimensioni limitate, con risorse naturali limitate, l’attuale sistema socioeconomico, basato sulla crescita materiale infinita, non è sostenibile. Non è equo, perchè l’1% della popolazione è più ricco del resto del mondo, e non è neanche efficiente, perché sta esaurendo le risorse naturali e sta distruggendo i servizi ecosistemici indispensabili per sostenere la vita sul pianeta, senza neppure riuscire a garantire a tutti un reddito minimo di sopravvivenza.

E' bene ribadire che l’economia ecologica dello stato stazionario si fonda sul principio etico della scala economica ottimale (Principio etico n° 1), che ricerca un livello di consumo procapite di risorse tale da massimizzare gli anni–persona, cioè il numero complessivo di persone da sostenere:
a)    ad uno stile di vita sufficiente,
b)    per tutte le generazioni (per un periodo di tempo illimitato).

A tal proposito è importante fare alcune considerazioni:

a)    Non si tratta di perseguire un livello di ricchezza procapite massimo ma solo sufficiente ad assicurare uno stile di vita dignitoso; sebbene sia un concetto difficile da definire con precisione, appare evidente che non può essere costituito unicamente dal capitale artificiale. Per soddisfare i bisogni umani occorre anche preservare il capitale naturale e tenere in efficienza i servizi ecosistemici.

b)    Il principio mira a massimizzare gli anni–persona, ossia il numero complessivo di persone, distribuite su tutte le generazioni, che si devono sostenere ad un livello di consumo procapite di risorse tale da assicurare un tenore di vita sufficiente. E’ un obiettivo ben diverso da quello che si prefigge di massimizzare il numero di persone della presente generazione. Se le persone, oggi in vita, sono troppe oppure se il loro consumo medio procapite è eccessivo, si ha il superamento della capacità portante del pianeta e ciò limita il numero di persone ed il tenore di vita delle future generazioni.

Il principio dello sviluppo sostenibile è un valido principio etico perchè garantisce:

a)    un’efficace conservazione della ricchezza; in quanto la manutenzione del capitale artificiale, da effettuare per evitare il suo deprezzamento, viene eseguita impiegando il minimo flusso di materia e di energia a bassa entropia;

b)    un’equa distribuzione della ricchezza; in quanto tutti, al mondo, possono godere di un livello sufficiente di ricchezza, avendo stabilito un limite superiore alla disuguaglianza dei redditi; va comunque detto che una certa disuguaglianza dei redditi deve essere mantenuta per ragioni di giustizia, efficienza e senso di comunità; purtroppo i livelli di disuguaglianza oggi raggiunti non possono essere tollerati, perchè sono talmente esagerati da distruggere il senso di comunità;

c)    un’efficiente allocazione della ricchezza, perchè permette di aumentare il numero di persone che vivono secondo uno stile di vita decoroso.


La Bibbia (e la termodinamica) insegna che il mondo non è eterno e che, sebbene non  si sappia quando, esso finirà tra un certo numero di generazioni. In ogni caso, gli economisti ecologici ritengono che la vita e la longevità siano doni di Dio e che, agli occhi della presente generazione, tutte le generazioni a venire debbano avere lo stesso valore. Per tale ragione, essi ritengono di fondamentale importanza che l’economia umana sia fondata sul primo principio etico, quello della scala economica ottimale; quello che pone tutte le generazioni future sullo stesso piano, a pari valore.

Rimane ancora l’incertezza su cosa si debba intendere per stile di vita sufficiente. E’ un concetto vago, difficilmente quantificabile anche se, in generale, può essere compreso tra due stili di vita limite, entrambi indesiderabili: da un lato l’indigenza e dall’altro lo spreco. Per chi obietta che non è giusto imporre dei limiti, per di più del tutto arbitrari, alla disuguaglianza dei redditi occorre rispondere che ha torto. I limiti devono comunque essere imposti, per evitare i problemi che nascono da un’elevata disuguaglianza dei redditi. Problemi ben documentati e certamente da non sottovalutare che oggi stanno riemergendo con forza, dato che la crescita economica materiale illimitata non è più una possibile soluzione.

Il pianeta sul quale viviamo ha una portata ecologica limitata e, per assicurare uno sviluppo sostenibile, è necessario che il principio di minima disuguaglianza dei redditi venga integrato dall’obbligo di limitare ad un valore ottimale la scala (le dimensioni) dell’economia globale; quest’ultima definita come il prodotto della popolazione per il consumo medio procapite delle risorse.

Il principio etico dello sviluppo sostenibile richiede che la scala (la dimensione) dell’economia globale non superi un valore ottimale che deve comunque essere inferiore alla capacità portante del pianeta che, a sua volta, dipende dalla capacità dei servizi ecosistemici di rigenerare le risorse naturali rinnovabili e di assorbire i rifiuti. Dato che, con lo sviluppo sostenibile, siamo impegnati nei confronti di tutte le future generazioni, ne deriva che la scala ottimale dell’economia globale dipenderà dal numero di anni – persona che si dovranno sostenere.


L’uomo è una creatura speciale davanti a Dio perché è l’unica che Egli ha voluto dotata di personalità. Tuttavia dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che anche noi siamo delle creature e, come tali, abbiamo dei limiti. Il mandato di Dio, di curare e coltivare il suo Creato, ci dà una speciale dignità e deve farci sentire orgogliosamente impegnati a proteggere la natura, l’ambiente, a conservare il capitale naturale e a mantenere intatti i servizi ecosistemici, che sono di sostegno a tutta la vita sulla Terra.


Il miglior modo di assolvere il mandato di Dio è di abbandonare l’attuale paradigma tecnocratico, che impone la crescita materiale illimitata e quindi lo sfruttamento ad oltranza del pianeta e impegnarci a rispettare il principio etico economico dello sviluppo sostenibile. In quest’ ottica, la crescita della popolazione e l’aumento del consumo medio procapite di risorse naturali sono ammessi nel rispetto dei valori di sostenibilità, sufficienza, giustizia ed efficienza, ponendo i rapporti umani e la natura sempre al centro dell’attenzione.

L’impegno prioritario deve essere quello di preservare la capacità portante del pianeta e rendere massimo il numero di persone che si possono sostenere, per un periodo di tempo illimitato, ad un livello di consumo procapite sufficiente ad assicurare loro uno stile di vita dignitoso. Ovviamente bisogna anche riservare uno spazio vitale per sostenere tutte le altre creature, delle quali riconosciamo il valore intrinseco, che ci accompagnano e ci allietano in questo nostro viaggio terreno.

In teoria vi sono due dimensioni ottimali dell’economia, entrambe sostenibili perchè inferiori a quella massima: la scala che deriva dalla "visione antropocentrica" e quella che deriva dalla "visione biocentrica".

a)    La visione antropocentrica riconosce a tutte le specie viventi non umane e ai loro habitat un valore che è puramente strumentale al benessere umano, in funzione della loro capacità di soddisfare i bisogni umani, e un valore intrinseco nullo. In questa visione, l’uomo vive la cultura dell’usa e getta ossia dell’indifferenza, non solo nei confronti delle cose ma anche del prossimo e delle future generazioni. Nella visione antropocentrica, la dimensione ottimale dell’economia umana è maggiore di quella risultante all’ottimo biocentrico perchè in tal caso l’uomo si prefigge di conservare solo gli ecosistemi e i servizi ecosistemici che hanno valore strumentale per lui, che soddisfano le sue esigenze. L'uomo non riconosce alcun valore intrinseco alla vita di quelle creature che, a suo insindacabile giudizio, ritiene inutili al suo benessere; così si sente autorizzato ad invaderne gli habitat e ad estinguerle. Infine, pensa di compensare la perdita dei servizi ecosistemici, sostituendoli con dei sistemi artificiali. 

b)    La visione biocentrica riconosce a tutte le specie viventi, uomo compreso, e ai loro habitat, oltre al valore strumentale, anche un valore intrinseco (diritto alla vita come esseri senzienti, capaci di provare piacere e dolore). Nella visione biocentrica, la dimensione ottimale dell’economia umana risulta pertanto inferiore a quella derivante dall’ottimo antropocentrico. In questo caso, infatti, occorre riservare un spazio vitale a tutte le specie viventi alle quali, come sottolineato anche dalle sacre scritture, si deve riconoscere, come valore intrinseco, il diritto di esistere e di gioire della vita.

L’economia ecologica dello stato stazionario si fonda sul principio etico dello sviluppo sostenibile e adotta una "visione biocentrica corretta", una variante della "visione biocentrica" che riconosce all’uomo una maggiore dignità rispetto agli altri esseri viventi, essendo l’unica creatura che Dio ha voluto come essere personale (dotato di un "io").



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